28 Marzo 2024
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Potere e mistificazione

Proprio in questi giorni ho riletto due piccoli, ma densi libri di Luciano Canfora: “La schiavitù del capitale” edito dal “il Mulino” per la collana Voci, e “Critica della retorica democratica”, editori Laterza per i tipi “Saggi tascabili”.
Il primo, del 2016, nel prologo a proposito del tramonto dell’esperimento di “socialismo” e del conseguente brusco risveglio che è stato una lezione per tutti, evidenzia in sei punti l’insegnamento da trarne. Di questi ne trascrivo due, sottolineandone l’importanza: il 4° “che, per funzionare, secondo la sua logica del sempre maggior profitto e della lotta spietata per la conquista dei mercati, il capitale ha ripristinato ormai forme di dipendenza di tipo schiavile: non solo in vaste aree dei mondi dipendenti ma creando sacche di lavoro schiavile anche all’interno delle aree più avanzate”.
Il punto 6: “che, per gestire questa impressionante mescolanza tra varie forme di dipendenza incluse quelle schiavili e semi-schiavili, il contributo della grande malavita organizzata è fondamentale”.
Nel capitolo IV è riportato dal Corriere della Sera del 19 febbraio 1995: “ Nel febbraio del 1995 il Senato del Mississippi, uno dei baluardi storici del razzismo Usa, ha approvato il 13° emendamento della Costituzione americana siglato nel 1865 secondo cui la schiavitù volontaria o involontaria non potrà esistere entro i confini degli Stati Uniti”. Nel 2016, Luciano Canfora, ha letto in pubblico (festival “èStoria” di Gorizia), quella notizia del Corriere, facendo uscire dai gangheri “un docente di una qualche università statunitense” – un certo Paul Finkelman esagitato e urlante dal microfono. Con buona pace del docente che non volle sentir ragioni, c’è ampia conferma: questa vicenda si era penosamente protratta dal 1865 fino al 1995. E’ il caso di dire che il re Usa è nudo!
Il razzismo, in quel gran Paese, è questione calda e nevralgica ancora in questi anni Duemila: le cronache Usa periodicamente ce ne danno notizia.
“La mentalità e la pratica schiavistica durano ben oltre le abrogazioni formali. Con buona pace dei nervosi docenti texani” – così lapidario e tagliente Luciano Canfora.
Gli europei durante la guerra civile americana rimasero colpiti da quella che ritenevano una anomalia e cioè quella d’una popolazione schiava all’interno dello Stato. Loro gli schiavi li avevano nelle Colonie – lontano da casa e dagli occhi. Per tacitare un poco la loro coscienza? Ne dubito – la coscienza di buon borghesi era a posto così, ma l’immagine di sé stessi e l’opinione pubblica vanno curate.

In “Critica della retorica democratica”, il capitolo “Vincere le elezioni” comincia così: “Nel mese di novembre dell’anno 2000 si è verificato l’evento forse più importante del secolo che si è appena aperto. E’ stata imposta l’elezione a presidente degli Usa di George Bush ir., nonostante egli avesse perso le elezioni. […] Un verdetto politicamente predeterminato della Corte Suprema degli Stati Uniti ha impedito il conteggio dei voti dello Stato della Florida, che – se ultimato e correttamente verificato – avrebbe segnato la sconfitta del candidato Bush”. L’autore poi sottolinea la reticenza dei resoconti dei giornali europei, che nascondono i risultati in termini di voti e mettono in evidenza solo la percentuale. Si vuole nascondere il fatto che la maggioranza degli aventi diritto di voto negli Usa non esercita tale diritto. In quel Paese, infatti, il certificato elettorale non viene recapitato ai cittadini, ma essi ne devono fare richiesta. Un implicito incitamento all’astensione. Il vincitore rappresenta una modesta minoranza del corpo civico: questa è la democrazia che piace al potere. Si tralasci pure, cosa però essenziale, i molti dollari che un candidato deve spendere per la campagna elettorale. Questa è la fotografia “normale e legale” della democrazia made in Usa.
Ma “il fatto nuovo del novembre 2000”- scrive Luciano Canfora – “è invece il colpo di forza. E’ scattato, per la prima volta, il divieto di contare i voti”. […] “Questo colpo di stato è un inedito nella storia degli Usa. E siccome si tratta dei padroni del pianeta, nessun organo di stampa che conti, nell’attonita Europa, ha osato dire in modo aperto e martellante la sconvolgente verità”
D’altronde negli Usa la democrazia, se non questa così addomesticata, non si è affermata fin dalla sua fondazione. E’ stata messa in contrapposizione la libertà alla democrazia. Ma in società fortemente disuguali esercita più libertà chi è più forte. La schiavitù è nata dal predominio della ‘libertà’ rispetto alla democrazia. Dalla libertà di poter praticare la schiavitù come esigeva il sistema democratico-parlamentare Usa, rappresentante del potere capitalistico. Da cui il paradosso: abolendo la schiavitù limiti la libertà.

Nel capitolo “Dall’élite alla mafia”, Canfora cita ampiamente un saggio di Fabio Arnao “Il sistema mafia (dall’economia-mondo al dominio locale), e riporta come emblematico dal settimanale “Time” del 7 dicembre 1998: “L’assunzione di Lucky Luciano nella graduatoria dei venti più importanti costruttori e titani del business americano, al fianco di Henry Ford e Bill Gates: a lui spetterebbe infatti il merito di aver reinventato la mafia trasformandola in una delle aziende a più alto fatturato degli Stati Uniti d’America”. Insomma le mafie sono diventate una componente del capitalismo e ad esso funzionali; ossia delle multinazionali malavitose non solo compatibili con il capitalismo, ma utili come intermediazione con il capitalismo per conto dello Stato.

In “La democrazia storia di un’ideologia”, ed. Laterza, Luciano Canfora comincia il capitolo 1° con una curiosità rivelatrice di ambiguità e travisamenti: “Che la democrazia sia un’invenzione greca è opinione piuttosto radicata. Un effetto di tale nozione approssimativa si è visto quando è stata elaborata la bozza del preambolo della Costituzione europea (diffusa il 28 maggio 2003). Coloro che, dopo molte alchimie, hanno elaborato quel testo, hanno pensato di imprimere il marchio greco-classico alla nascente Costituzione anteponendo al preambolo una citazione tratta dall’epitafio che Tucidide attribuisce a Pericle (430 a.C.). Nel preambolo della Costituzione europea le parole del Pericle tucidideo si presentano in questa forma: << La nostra Costituzione è chiamata democrazia perché il potere è nelle mani non di una minoranza ma del popolo intero>>. E’ una falsificazione di quello che Tucidide fa dire a Pericle. E non è per nulla trascurabile cercar di capire perché si sia fatto ricorso ad una tale ‘bassezza’ filologica. Dice Pericle: << La parola che adoperiamo per definire il nostro sistema politico è democrazia per il fatto che esso si qualifica non rispetto ai pochi ma rispetto alla maggioranza [non c’entra il ‘potere’, e men che meno il popolo intero]>>. Pericle prosegue: << Però nelle controversie private attribuiamo a ciascuno ugual peso e comunque nella nostra vita pubblica vige la libertà>>. Si può sofisticare quanto si vuole, ma la sostanza è che Pericle pone in antitesi ‘democrazia’ e ‘libertà’”.
A questo punto è opportuno chiudere questo intervento pure abbondante di citazioni.

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