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14 Ottobre 2024
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“Democrazia Afascista” di Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati (Feltrinelli 2024)

Il 2 giugno 1946 si tenne il referendum istituzionale per la scelta di quale forma dare allo stato, tra Monarchia e Repubblica, dopo vent’anni di rovinosa dittatura e dopo la tragedia della Seconda Guerra Mondiale. Con il suffragio universale donne e uomini vennero chiamati alle urne, e con una altissima percentuale di votanti, gli italiani scelsero la Repubblica. Le leggi fascistissime del 1925, che avevano abolito i partiti e ogni forma di aggregazione sociale e sindacale,  vennero cancellate, la vita politica ricominciava a pulsare nelle sue varie e libere articolazioni, e nei giornali campeggiavano i titoloni di prima pagina: “È nata la Repubblica Italiana”

Nello stesso giorno venne votata l’Assemblea Costituente, preparatoria della nuova Carta costituzionale, per dare contenuto alla forma statuale: la Democrazia cristiana conquistava la maggioranza relativa dell’Assemblea (35,21 %), mentre il Partito socialista e il Partito comunista raggiungevano insieme il 39,61 % (Partito socialista (PSIUP): 20,7%; Partito comunista: 19%; Unione democratica nazionale: 6,8%; Fronte uomo qualunque: 5,3%; Partito repubblicano: 4,4%; Blocco nazionale libertà: 2,8%; Partito d’azione: 1,4%.

Il 15 luglio 1946 l’Assemblea istituì una Commissione speciale, formata da 75 esponenti (poi nota storicamente come Commissione dei 75) proporzionalmente rappresentativi delle diverse forze politiche, per elaborare e proporre il progetto di Costituzione da discutere in aula. La Costituzione che ne derivò, dopo 375 sedute pubbliche,  e pubblicata il 22 dicembre 1947, fu un compromesso ad altissimo contenuto valoriale. In essa trovano riscontro ideali cristiani, socialisti e comunisti, azionisti, liberali, in un sintesi ancora oggi attualissima, e sostanzialmente unificante nell’antifascismo.

Ho voluto fare questa premessa prima di accennare ai contenuti del libro di Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati, quanto mai attuale, ora che le forze politiche al governo del paese, e la Presidente del Consiglio in primis, forzano i tempi per arrivare alla riforma del Premierato. La Meloni afferma con enfasi retorica che la sua  “È la madre di tutte le riforme”, e, con la proposta di Autonomia differenziata (fortemente voluta dalla Lega), la Costituzione subirà un sostanziale svuotamento nei suoi aspetti regolamentari e soprattutto valoriali e solidaristici.

Nel libro si sostiene invece che questi due aspetti, regole e valori, sono insiti nella Carta, che ha un’ impronta parlamentare da un lato ed è antifascista nella sostanza valoriale. La sinistra parla, sostiene la Meloni, noi facciamo, occorre passare ad una democrazia “decidente”, possibilmente plebiscitaria, superando gli orpelli del parlamentarismo imbelle. Si legge, nel libro (pag. 98) “La retorica del governo che non decide (come se per settantacinque anni la Repubblica non abbia preso decisioni importanti e notevoli, sulle materie sociali, scolastiche, sanitarie, sulla risposta al terrorismo) è usata dalla destra come argomento a favore del suo progetto, che è quello di favorire due ordini di decisioni: il primo in relazione allo Stato, con la riduzione delle politiche sociali e della giustizia sociale come condizione della cittadinanza; il secondo in relazione ai cittadini, con il contenimento dei presunti “eccessi” di democrazia per debilitare, scoraggiare o delegittimare l’opposizione a partire dai movimenti di contestazione…” In sostanza, sembra si voglia caldeggiare l’idea che è meglio una democrazia anestetizzata che una democrazia partecipata. È il refrain dei populismi che si vanno affermando in tutto il mondo negli ultimi anni.

Si ritiene che “Ormai l’antifascismo è superato”: è il suo superamento è intelligentemente argomentato nella importante lettera della Meloni al Corriere della Sera in occasione del 25 aprile 2023, un vero manifesto politico-ideologico, poiché, interpretandone il ragionare, tutti siamo “Facenti parte della Nazione”, “Basta con le contrapposizioni ideologiche”, “Non siamo più partigiani ma patrioti” Sono passati ormai quasi ottant’anni dalla Costituzione del 48”… Dunque, sostiene la Meloni nell’articolo citato, basta con “usare l’antifascismo come strumento di delegittimazione di qualsiasi avversario politico”. L’antifascismo sarebbe la rovina della democrazia, ormai facente parte del passato, così come il fascismo, di cui, ella scrive, la sua parte non ha alcuna nostalgia, anche se la sua formazione, la sua storia, i legami simbolici, le sue simpatie con esso sono noti a tutti. Con abile artificio retorico fascismo e antifascismo sarebbero equiparati, e, in una sorta di riflesso pavloviano, la Meloni ritiene l’antifascismo come prodotto dell’ideologia comunista, dimenticando di quanto sia stata variegata e complessa la Resistenza, nella varietà delle forze politiche e sociali che la alimentarono, così come  la Costituzione che ne derivò e che oggi viene descritta, da chi vuole cambiarne i connotati, come una sorta di ferrovecchio da rivedere e “ammodernare”.

Il nuovo volto con cui la destra  si presenta, è apparentemente neutro, non antifascista, non fascista, ma afascista, e il termine non è affatto nuovo. Gabriele Pedullà e Nadia Urbinati ne ricostruiscono l’uso e la genesi: esso fu usato dapprima da Mussolini, il 4 dicembre 1924, a pochi mesi dall’assassinio di Matteotti (10 giugno 1924), poi nel dopoguerra da Giuseppe Berto, valente letterato, che era stato volontario in Africa nelle guerre coloniali e convinto fascista nel secondo conflitto mondiale, e divenne oggetto di confronto/scontro all’interno dell’assemblea costituente, tra altri, in particolare  tra Roberto Lucifero, monarchico intransigente e conservatore, Palmiro Togliatti, Aldo Moro, Emilio Lussu e Renzo Laconi. In breve Lucifero (4 marzo 1947) “E solo afascista può essere lo stato democratico perché la democrazia (mi perdoni l’onorevole Togliatti) non ammette aggettivazioni. La democrazia è una, la democrazia è un piano sul quale ciascuno di noi combatte la sua battaglia e nel quale ciascuno di noi trova le sue garanzie…” . Laconi, PCI (5 marzo): il fascismo non era stato “soltanto una specie di crisi di crescenza, una malattia infantile o giovanile del popolo italiano”, la sua esperienza non era “dimenticabile”, e questo, commentano gli autori, vincolava i costituenti a produrre un testo, dice Laconi, “Orientato”. Lussu (7 marzo): “Come voi vedete, qui ci troviamo gli uni di fronte agli altri, disposti a collaborare in comune; eppure proveniamo da differenti origini. Ma io credo che a tutti i costi, a costo di non essere totalità, ma solo maggioranza, la nostra democrazia non dovrà mai rinunziare ad essere democrazia antifascista”. Togliatti, PCI (11 marzo), richiamando alle responsabilità, che non può essere derubricata, dei predecessori di Lucifero e dell’intera classe politica liberale nell’avvento del fascismo e negli anni della dittatura, e dunque ad evitare che si ripeta quanto accaduto “Questo è avvenuto nel passato…a questo scopo chiediamo delle garanzie costituzionali. Per questo, onorevole Lucifero, vogliamo non una Costituzione afascista, ma antifascista…e che alla testa dello Stato avanzino forze nuove, democratiche  e rinnovatrici per loro stessa natura. Tali sono, o signori, le forze del lavoro!” Moro, D.C (13 marzo): riconoscendo ai comunisti la volontà di una Costituzione aperta al contributo di tutti, egli sottolinea che non bastano le regole condivise, occorre condividere i valori dell’antifascismo “Non possiamo in questo senso fare una Costituzione afascista, cioè non possiamo prescindere da quello che è stato nel nostro Paese un movimento storico di importanza grandissima, il quale nella sua negatività ha travolto per anni le coscienze e le istituzioni. Non possiamo dimenticare quello che è stato, perché questa Costituzione oggi emerge da quella resistenza, da quella lotta, da quella negazione, per le quali ci siamo trovati insieme sul fronte della resistenza e della guerra rivoluzionaria ed ora ci troviamo insieme per questo impegno di affermazione dei valori supremi della dignità umana e della vita sociale”.

Fenomeno ormai mondiale, quello delle autocrazie elettive: per il fatto che sei eletto puoi cambiare i delicati meccanismi costituzionali a colpi di  maggioranza e considerarne obsoleti i valori fondanti, uguaglianza, diritti, cittadinanza, lavoro, partecipazione, ancora in parte da realizzare. È bene essere coscienti dei rischi che tali processi comportano.

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