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“L’ordine del giorno” di Éric Vuillard, Edizioni e/o 2018 (Premio Goncourt 2017)

L’8 novembre del 2019, a Elmas presso la sala conferenze della biblioteca comunale, a cura di  “Equilibri, Circolo dei Lettori di Elmas”, è stato presentato il libro di Giacomo Mameli “La chiave dello zucchero”. In quel libro di storie narrate, per lo più risalenti a vicende del periodo fascista e della seconda guerra mondiale, i protagonisti sono semplici soldati che rivelano particolari di vita vissuta, ma inediti, nell’infernale macchina distruttiva della guerra. Veniamo così a conoscenza di particolari che nella Grande Storia non vengono raccontati, ma che, nondimeno, sono utili a comprenderne il senso, o parte di esso. Dal profondo della storia, dunque, come da un pozzo senza fondo, si può continuamente attingere, ed è necessario farlo, perché, come il mito della caverna, l’uomo ricerca continuamente la luce, ma finisce sempre per ritrovare le proprie ombre.

Il libro di Éric Vuillard, vincitore del prestigioso Prix Goncourt 2017, romanzo e saggio allo stesso tempo, breve ma estremamente incisivo, indaga sull’ascesa del nazismo nei primi anni trenta, e in particolare sull’Anschluss, l’annessione dell’Austria alla Germania il 12 marzo del 1938. Si tratta di fatti noti, fatti che portarono alla tragedia della Seconda Guerra  Mondiale: il lettore sa già come è andata a finire, lo ha studiato a scuola o per interesse personale, avrà visto qualche documentario o film che ne parla, ma non sa cosa è accaduto dietro le quinte, quali trame, spesso sconosciute, portarono a quegli  avvenimenti.

“Le più grandi catastrofi s’annunciano a piccoli passi”, sostiene l’autore. Per interesse, per pigrizia, per vigliaccheria, per indifferenza, per ignoranza, non si colgono i segnali che vengono dal mondo, fino a trovarsi nell’abisso, a volte addirittura complici dell’abisso e dell’orrore. Questi atteggiamenti non riguardano solo i singoli, noi individui, noi persone, noi cittadini, ma riguardano anche le nazioni e gli stati, nelle loro articolazioni.

Il libro ha una copertina emblematica. L’uomo in perfetta livrea nera, l’uomo che stringe sulla mano sinistra i guanti bianchi , e sulla destra la bombetta di feltro, è Gustav Krupp, il re dell’industria tedesca dell’acciaio. Il 20 febbraio 1933 egli, assieme ad altri 23 magnati dell’industria e della finanza tedesche, è convocato presso il palazzo del Presidente del Reichstag, Hermann Göring, per un incontro con Hitler. Il 30 gennaio Adolf Hitler era stato nominato cancelliere del Reich, cioè primo ministro, dal presidente della Repubblica tedesca, l’anziano Paul von Hindenburg, pur non avendo la maggioranza in Parlamento. Sette giorni dopo, il 27 febbraio il Reichstag sarebbe stato incendiato: con lui andrà in fumo la democrazia tedesca.

I nomi dei ventiquattro allo stato civile, tra cui Schnitzler, Witzleben, Schmitt, Finck, Rosterg o Heubel non ci dicono molto, ma se diciamo BASF, Bayer, Agfa, Opel, IG Farben, Siemens, Allianz, Telefunken le cose si chiariscono. Con amara ironia Vuillard sottolinea che quei ventiquattro uomini, quelle industrie, quelle assicurazioni, quelle banche, così presenti ancora oggi nella nostra quotidiana contemporaneità, allora come oggi “il clero della grande industria” tedesca, furono pronti a sottoscrivere il patto “alle porte dell’inferno”.

Cosa chiedono Göring e Hitler ai signori in livrea? Battono cassa. Göring: “L’imminente campagna elettorale è determinante, bisogna farla finita con l’instabilità del regime, l’attività economica richiede calma e fermezza”…Hitler: “Bisogna farla finita con un regime debole, allontanare la minaccia comunista, sopprimere i sindacati e permettere a ogni padrone di essere un Führer nella propria impresa”.

Mentre il nazismo avanza in Germania e “a piccoli passi” si annunciano venti di guerra, le potenze occidentali, Inghilterra e Francia in primis, oscillano tra mollezza e accenni a prove di forza. Vuillard racconta dell’incontro del novembre 1937 tra l’imbelle lord Halifax, l’inglese lord Presidente del Consiglio nel governo Baldwin, con Hitler e Göring, presidente del defunto Reichstag. Intanto la Germania ha rimilitarizzato la Renania, si è annessa la Saar, è pronta ad invadere l’’Austria e la Cecoslovacchia, e la Luftwaffe ha già bombardato Guernica. Eppure lord Halifax non batte ciglio, piega la testa, e scrivendo a Baldwin dirà “Il nazionalismo e il razzismo sono forze potenti, ma non le considero né immorali né contro natura!” È la cosi detta politica dell’appeasement , la politica dell’accomodamento, del lasciamo fare, del non interferiamo, del voltare la faccia anche quando il disegno è chiaro.

Hitler a Vienna – 12 marzo 1938

Vuillard si sofferma sull’Anchluss e colora di grottesco l’incontro del 12 febbraio 1938, al Berghof, il rifugio del dittatore tedesco a Berchtesgaden, tra Hitler e Il cancelliere austriaco Schuschnigg, a capo di un governo ultraconservatore e fascistoide.  Il Führer, con la protervia del lupo, “arriva a urlare che il contributo dell’Austria alla storia germanica è pari a zero, e Schuschnigg, tollerante e magnanimo, invece di girare i tacchi e chiudere lì il colloquio, come un bravo scolaretto, cerca nella memoria un esempio del famoso contributo austriaco alla Storia…poi lo trova in Beethoven…un musicista per fermare un’aggressione…ma Hitler ribatte che Beethoven è tedesco”.

È noto dai libri di storia come Hitler impose un governo fantoccio, come impose   l’Anchluss (12 marzo 1938) e come impose al governo un plebiscito in Austria per il 10 aprile 1938 allo scopo di ratificare l’annessione, e come il 12 marzo Hitler e le sue truppe trionfanti siano arrivati a Vienna. Meno noto il fatto che le truppe trionfanti tra ali di folla, come dice ogni retorica dei vincitori e della guerra lampo, erano avanzate verso la frontiera austriaca in pieno disordine e marasma, con un ingorgo di panzer pesanti e obsoleti, e il Führer furioso e imprecante che non riusciva a passare con la sua Mercedes diretta a Vienna per la parata di rito.

Il libro si conclude con un richiamo ai ventiquattro magnati, molti dei quali non solo finanziarono il nazismo, ma utilizzarono nelle loro fabbriche manodopera a buon mercato proveniente dai tanti campi di concentramento e di sterminio che la Germania aveva aperto nel proprio territorio e nei territori occupati.

Il matrimonio tra potere economico e potere politico non è un’aberrazione del passato: è accaduto e accadrà ancora. Vuillard “Si cade sempre nello stesso modo, con un misto di ridicolo e di spavento. Vorremmo così tanto non cadere più che puntiamo i piedi, urliamo. Ci spezzano le dita col tacco, ci spaccano i denti col becco, ci cavano gli occhi. L’abisso è bordeggiato da alte dimore.”

Recensione a cura di Tonino Sitzia

1 luglio 2020

 

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1 commento

  1. Molto interessante la recensione di questo libro che offre molti spunti di riflessione, soprattutto sul ruolo strategico che i grandi capitalisti hanno avuto sul destino delle nazioni. Purtroppo ciò che è accaduto in passato può ripetersi poiché, ancora oggi, “lobby”, “lobbisti”, capitalisti e multinazionali hanno un ruolo importante in quella cosiddetta atmosfera dei piccoli passi che può fare scivolare nell’orrore.

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