15 Novembre 2025
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Il racconto della Salicornia, la regina di Santa Gilla

Un tempo, quando gli uomini passavano leggeri su questa terra, quando le campane scandivano i tempi del lavoro, delle nascite e delle morti, quando i bambini temevano su mommotti e sa morti pillosa, maria farranca e su carr’e nannai, ai bordi della laguna, quella che per tutti era Su Stani, nel frusciare del vento e nello sciabordio delle acque si sentivano dialogare tra loro le umili piante di Santa Gilla. Solo un orecchio attento le poteva sentire, e ancora oggi è così, perché bisogna essere allenati al silenzio e all’ascolto.

Nel dialogo immaginario tra Gommai Canna, Goppai Giuncu, zia Tifa, la Cannuccia al vento filiforme, Su cagalloni strantasciu (Fungo di Malta), Comare Salicornia è la più ascoltata -Io sono stata alla mensa dei Vichinghi – dice timida e autorevole – sono ricca di vitamina C, sono carnosa e robusta tanto che  cresco e colonizzo ambienti che altre piante rifiutano, poita timint su sali….I sardi, e i paesani di questi luoghi, mi chiamano Sassoini e mi rispettano perché dove ci sono io c’è troppo sale, e voi sapete quanto è prezioso il sale…”

Pensate che nella seconda metà del 1700 alla Scaffa fino alla Maddalena spiaggia, a Sant’Avendrace, a Pauli, Pirri, a Quartucciu, e in Su Masu ovviamente, la Salicornia veniva raccolta e coltivata  in grande quantità. I contadini masesi si innamorarono di lei, sapete com’è la febbre dell’innamoramento…ti fa perdere la testa…Era la febbre della soda. Fino a quel momento per lavare pannizus di cotone, o di lana e di biancheria in genere si usava la liscivia, la cenere calda, ricavata dalla combustione del legno, e la cenere del fuoco del camino non veniva sprecata. Nella memoria degli anziani, e delle donne in particolare permane il ricordo  dei quella che chiamavano sa lissia, lavoro prettamente femminile.

“Eja, dice gommai salicornia… inzandus incumminzànta a mi fastiggiai, ma no poita femmu bella, ma po su dinai, e circanta de s’aborsai puru cugina mia Salsola”

L’erba Kali cara agli Dei, la Salsola, venne coltivata alla grande perché i terreni attigui a Su stani erano adatti alla sua crescita e dalle sue ceneri si ricavava la soda per il sapone. Parliamo del 1780 e giù di lì: Su Masu aveva 327 abitanti , 60 gioghi di buoi, il fabbisogno di grano era di 1798 starelli, ma il raccolto di quell’anno fu di 1149 starelli, dunque mancava il tanto per il fabbisogno alimentare e della semina…e meno male che nel 1768 era stato istituito il Monte Granatico, ma con un fondo di dotazione, proporzionale alla popolazione, di appena 100 starelli, mentre Pauli Pirri ne aveva 1000 e Sestu 3000! Alcuni si montarono la testa pensando di potersi affrancare dalla miseria esportando un materia prima che era presente in natura, costava poco, era molto richiesta nelle corti europee, ed era utile po cunfundi su fragu de is arricus e de is poburus.

“Ita ndi nasa o Boiccu de lassai a perdi su trigu…po’ cussu chi nci guadangiaus…e a si ponni a arregolli e seminai sa soda… cussa po fai saboni e puru imbirdi..”

“Eja o Efisiu, nosus traballiaus cumenti a burricus e su guvernu, cussus de su Piemonti, si ndi pigant su coranta po centu in tassas… sa soda poi crescidi benimindi accanta de Su Stani, no tocad a si strippai de traballu e poi da bendeus a is francesus de Marsillia, o a is genovesus, poitta su saboni ndi bogat su fragu de su sudori e esti sa mellus cosa po sciacuai sa roba…“E poi ddu scisi ca sa soda no est nemmancu tassada…”

Arthrocnemum glaucum

Il ragionamento dei nostri contadini, sottoposti alle decime, e alle tassazioni agrarie, sia in tempo feudale (gli Spagnoli), sia in tempo piemontese, era perfettamente legittimo, ma insieme a loro la febbre della salicornia colpì molti ricchi proprietari e  imprenditori locali che, già a metà del ‘700,  fiutando l’affare, chiesero e ottennero privilegi e autorizzazioni all’amministrazione regia, e si diedero a firmare contratti con imprese francesi o del continente. I contratti prevedevano semina, coltivazione e raccolta.

Salicornia fruticosa

A un certo punto però i sabaudi non ne vollero sapere: erano preoccupati perché i ricchi e gli imprenditori sfuggivano alle maglie del fisco piemontese, non essendo adeguatamente normato il commercio della salicornia e perché i piccoli proprietari, is massaius, i contadini poveri stavano abbandonando la coltivazione del grano, della vite e delle fave. Così vennero imposte delle tasse sull’esportazione della soda, ne venne impedita la coltivazione nei terreni coltivati a grano, e i masesi abbassarono la testa e ripresero a curare i loro orti e le loro vigne, e a combattere per la loro grama sussistenza.

Fu un vero peccato perché i poveri contadini masesi si erano illusi di diventare ricchi, e invece poveri erano e poveri restarono.

Tonino Sitzia

(Racconto rivisto e modificato rispetto ad un altro pubblicato sul sito di Equilibri in data 19 ottobre 2019 e dal titolo “Le umili piante de Su Stani); Le didascalie delle foto sono di Anna Maria Tocco)

Per approfondire:

Cherchi Paba,  “Evoluzione storica dell’attività industriale, agricola, caccia e pesca in Sardegna” (Cagliari, 1974), volume terzo, a pag. 263 “La coltura della salicornia divenne febbrile tanto che venne abbandonata quella del grano”. Questo perché “una così vasta produzione di ottima soda, dati i terreni  favorevolissimi del cagliaritano per una simile coltura, determinò un vasto movimento commerciale di detta erba, specie nei mercati più ricchi di Marsiglia e di Nizza, per cui il porto di Cagliari fu intensamente praticato dai velieri della Provenza e del Nizzardo, come anche della Toscana, in particolare di Livorno”; e ancora “L’esportazione della soda venne sottoposta a speciale dazio doganale stabilito in 7 reali  il cantaro. Perché si abbia ragione di tanta febbre per la salicornia basti considerare che, secondo i detti prezzi, sulla banchina di Cagliari, un cantaro si soda veniva pagato una volta e mezzo un cantaro di formaggio,  fiore sardo, che nel 1782/88 si pagava all’ingrosso sulle 10 lire sarde, mentre la soda la si pagava 12 e 15 lire; citato anche in Renzo Ferru in  “Elmas – Storia di una comunità di artigiani, contadini, pescatori”, pag.140

Paolo Amat di San Filippo “La produzione della soda in Sardegna dal secolo XVIII ad oggi” da “Accademia sarda di storia e di lingua”, 8 ottobre 2009 – Dipartimento d’Ingegneria Chimica e Materiali – Università di Cagliari. Nell’articolo si legge: “ La soda del commercio è composta in proporzioni diverse, di carbonato e di solfato di soda, di solfuro di sodio, di sal marino, di carbonato di calce, di allumina, di silice, di idrossido di ferro, di carbone rimasto non bruciato. Essa contiene ancora qualche volta del solfato di potassa e del cloruro di potassio.  La più stimata è quella di Spagna: ella è conosciuta col nome di soda di Alicante, di Cartagena, di Malaga: si estrae da molte piante, ma particolarmente dalla barilla che si coltiva con attenzione sulle coste della Spagna, e che è la più ricca in alcali. Vi si trova dal 25 al 40 per cento di carbonato di soda.
I vegetali utilizzati per la produzione della soda sono, come si è visto la Salicornia europaea nella sue varietà S. herbosa e S. fruticoides Linn., la Salsola, nelle sue varietà S. soda, S. tragus, e S. kali Linn., lo Statice limonium Linn., e l’Atriplex portulacoides, una varietà del quale, l’Atriplex halimus Linn., in Puglia, viene chiamata salzolla”;

Di interesse: “La produzione della soda a Ustica nel secolo XVIII° di Giuseppe Giacino (www.centrostudiustica.it)

 

 

 

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