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13 Dicembre 2024
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In ricordo di Maria Giacobbe

Maria Giacobbe, una delle grandi scrittrici sarde, ci ha lasciato. È morta il 27 gennaio a Copenaghen, dove risiedeva, avendo sposato lo scrittore e commediografo danese Uffe Harder. Aveva 95 anni. È stata socia onoraria di Equilibri, da quando nel maggio del 2012 era venuta a presentare, presso il Teatro Comunale, “Euridice” accompagnata da Mariangela Sedda. Ragionando a tutto campo si era parlato del libro, ma anche di letteratura, della sua Sardegna e di tanto altro. Riportiamo il racconto, di grande attualità, che ci aveva mandato quando era entrata a far parte dei soci onorari di Equilibri. Il titolo era  

IL SOGNO

Il mio sogno è così semplice che basterebbero pochissime parole per raccontarlo, ed è così logico e chiaro che è strano sia solo un sogno e non una normale realtá, accettata e irremovibile. Una realtà nella quale la maggior parte dei problemi globali che oggi sembrano quasi insolubili – inquinamento, riscaldamento del pianeta, diminuzione delle risorse non rinnovabili, etc. – avrebbero già trovato la loro naturale e indolore soluzione.
In breve, io sogno un mondo che somiglia al nostro ma nel quale le fabbriche d’armi sono messe fuori legge, e tutti i paesi – piccoli e grandi – che attualmente le ospitano s’impegnano a trasformarle in “industrie di pace” e a combattere ogni tentativo di riaprirle sotto qualsiasi pretesto. S’impegnano a combattere le fabbriche d’armi come sono obbligati a combattere tutte le altre imprese nocive e illegali, come per esempio la fabbricazione e la vendita di droghe e il mercato di carne umana.

Dopo la fine della Seconda Guerra Mondiale (l’ultima guerra al mondo che iniziò con una dichiarazione di guerra e si concluse con un patto di pace) abbiamo avuto una serie infinita di guerre infinite e non dichiarate, che vengono condotte senza grandi movimenti di truppe, senza battaglie memorabili e con relativamente piccole perdite di militari combattenti. Ma con moltissimi morti fra le popolazioni civili e, particolare non trascurabile, enorme consumo e distruzione di costosissime “apparecchiature belliche”. Apparecchiature uscite dalle redditizie fabbriche d’armi che spesso hanno anche te e me e altre persone per bene come piccoli azionisti.
Perché un’industria sia redditizia occorre che la vendita dei suoi prodotti sia ininterrotta e possibilmente in crescita. Ragion per cui, se le merci prodotte sono armi, la conclusione delle guerre in corso non è proprio una buona idea.

Mentre scrivo queste righe, in molti paesi del mondo si stanno usando armi di produzione italiana, francese, inglese, tedesca, russa, cecoslovacca, americana, belga, israeliana, svedese e danese per combattere e uccidere uomini che allo stesso fine usano armi che, come quelle dei loro antagonisti, provengono esattamente dalle stesse fabbriche in Italia, Francia, Inghilterra, Germania, Russia, Cecoslovacchia, Belgio, Israele, USA, Svezia, Norvegia, Danimarca. E a questi si potrebbero aggiungere tutti gli altri paesi cosiddetti “emergenti” e già presenti con i loro prodotti nel mercato mondiale della morte.

E mentre io scrivo e tu leggi, con i raffinatissimi prodotti di questi paesi che continuiamo a considerare rispettabili, civili e umani vengono uccisi e torturati nel corpo e nell’anima degli uomini delle donne e dei bambini, le loro città e la natura che le circonda vengono ferite a morte, materiali già scarsi e insostituibili vengono sprecati e si contribuisce a infittire la cappa d’ozono attorno al pianeta. E con questi ordigni che vengono chiamati “di difesa” ma la cui funzione essenziale è quella di seminare morte, distruzione e terrore, si fa aumentare l’odio fra i popoli, si riducono le risorse destinate ad aiutare i disabili, i malati, i vecchi, i bambini e i giovani e a incrementare le scuole, i teatri, i musei e tutte le altre istituzioni che possono abbellire e ingentilire la vita.

Nel civile mondo del mio sogno, gli eccellenti ricercatori, i bravi operai, i coscienziosi impiegati occupati oggi nelle fabbriche d’armi che portano morte, fame e disperazione a tanta gente, userebbero la loro intelligenza, capacità e forza per inventare e produrre strumenti e condizioni per migliorare la vita di tutti sulla terra.

Forse, anzi probabilmente, anche in questo mondo del mio sogno ci sarebbe qualche Caino tentato di uccidere Abele, e qualche Otello convinto di dover uccidere la sua amata Desdemona, e i lupi non diventerebbero automaticamente agnelli.
Ma nessuno più avrebbe il permesso di arricchirsi sulla loro follia vendendo le armi che la rendono più efficace e che ne prolungano l’effetto, e gli Stati non continuerebbero a macchiarsi dell’orribile colpa di tollerare e lucrare con le fabbriche di odio e di morte finalmente equiparate alle fabbriche di droghe e ai mercati di carne umana.

A me pare che in questo mio mondo sognato i soli perdenti sarebbero i commercianti d’armi e alcuni banchieri. Ma, per dire le cose come stanno, non mi sentirei particolarmente obbligata ad avere rimorso nei loro riguardi.

Maria Giacobbe

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2 Commenti

  1. Ricordo la bella serata di presentazione del libro “Euridice” col quale Maria Giacobbe ci porta dentro l’orrore di una guerra imprecisata e la protagonista, una novella Euridice sconosciuta al mito, paga un prezzo molto alto.
    Ma il libro di Maria Giacobbe che non ho mai dimenticato é “Diario di una maestrina” nel quale la scrittrice racconta della sua esperienza di insegnante nei paesini del Nuorese negli anni ’50, regalandoci uno spaccato della Sardegna di quel periodo, immobile e con poche speranze sul suo futuro, quando mancavano acquedotti e fognature ed erano invece presenti, denutrizione, tubercolosi, malaria, tracoma e tigna.
    Nonostante vivesse in Danimarca dal 1958, non ha mai dimenticato la Sardegna; i suoi romanzi hanno spesso come sfondo ambientazioni sarde e si é sempre interessata alle nostre vicende sociali e politiche perché continuo é stato il suo impegno civile.

  2. Ricordo in un teatro gremito Maria Giacobbe, accompagnata da Mariangela Sedda, venuta dalla nordica Copenaghen a rivedere la sua Sardegna. Accettò l’invito di “Equilibri” a presentare “Euridice” uno dei suoi ultimi libri. Si parlò d’una narrazione come immersa in una atmosfera onirica e inquietante.
    C’è stata una guerra, ci sono ancora le macerie tutt’intorno e quelle immateriali dentro chi s’aggira per le distruzioni: “la guerra non è finita” è più volte ripetuto.
    Bisognerebbe rileggerlo “Euridice” per fermare quegli elementi sfuggenti, sospesi. La vicenda e l’orrore narrati sono volutamente fuori da precisi riferimenti storici.
    Il tempo storico è una freccia che avanza. Nella narrazione, invece, il tempo è curvo: incomincia in una cella e lì vi ritorna dopo un percorso. Non c’è scampo.
    La desolazione delle macerie che lascia ogni guerra è messo in risonanza con le lacerazioni interiori di Euridice, nascoste: non si toccano, ma la loro devastazione traspare dal corpo.
    Maria Giacobbe non trascura l’elemento corporeo. Quel corpo malato e stremato. Segnato senza rimedio da una stanchezza depositata dalla guerra. M.G. Non si limita ad indagare la psiche, ma ci arriva partendo dalla materialità del corpo. Non separa la carne dall’anima: un tutt’uno inestricabile.
    Un corpo che ha conosciuto la tortura, l’estrema umiliazione. Diceva Marina Cvtaeva: “L’anima che per l’uomo comune è il vertice della spiritualità, per l’uomo spirituale è quasi carne”.
    La narrazione insiste sulla malattia, sulla condizione di reclusione di questa donna chiamata Euridice.
    Così come si insiste nell’incipit sul caldo come materia informe, viscosa che opprime e annichilisce.
    Una scrittura per accumulo, con reiterazioni (il dolore, il dolore…); il sangue rumoreggia nelle vene, ha un rombo, il cuore rimbomba.
    Ma quando il male afferra i bambini, la prosa si fa asciutta, secca e in poche righe ecco la violenza sui bambini, la più terribile, quella che ci lascia attoniti.
    La scrittura allora quasi si ritrae, dura ed essenziale: di un bambino, atrocemente mutilato, dice soltanto “mancano entrambe le gambe”.
    In questa essenzialità l’immagine, così isolata, ne viene esaltata in tutta la sua terribilità.

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