Lo scempio a Gaza, l’osceno proposito dei resort di lusso programmati nella striscia, le migliaia di persone che con le loro masserizie e con mezzi di fortuna, vecchi e arrugginiti camioncini, carretti trainati da asini sfiniti, biciclette, a piedi, fuggono dalle loro case, dalla città di Gaza, in fila con le povere cose verso il nulla del sud. L’Unrwa, l’agenzia delle Nazioni Unite che si occupa dei rifugiati palestinesi “Vanno verso l’ignoto. I bambini cadono a terra dalla stanchezza, le madri svengono, e gli anziani sono lasciati ai bordi delle strade…”
Dove vivrà quel milione di palestinesi che si sposta verso il nulla? Come impedire l’ esodo di un milione di persone nell’impotenza degli organismi internazionali? Sono tutti terroristi, quegli uomini, donne, bambini? O solo semplicemente palestinesi? È inaudita l’idea di prendere un popolo per fame, e arrivare all’aberrazione che chi porta aiuti umanitari sia terrorista.
È questo il genocidio: voler fare terra bruciata di una terra e di un popolo. I dati, oltre le immagini insopportabili che ci scorrono giornalmente sotto gli occhi, sono la prova del genocidio in atto. L’”Uppsala conflict data program” (UCPD), organismo internazionale indipendente che raccoglie informazioni sui decessi tra la popolazione civile dal 1989 ai giorni nostri, parla di genocidio nel caso del Ruanda (1994), con il 99,8% di civili uccisi, seguito da Mariupol (2022), 95%, Srebrenica (1992/95), 92%, poi Gaza (2023/2025), 83%, e poi via via Aleppo, 59%, Bosnia, 57%, Sudan, 49,5, Siria, 29, Ucraina, 10, Afghanistan, 8 : si tratta di dati che, sostengono gli autori del rapporto, nel caso della Palestina, sono certamente sottostimati e la percentuale potre essere molto più alta, rispetto a “Quanto Israele ha presentato al mondo per quasi due anni” (da “Internazionale n°1629, 29 agosto 2025).

L’essere “semplicemente palestinesi” per rendere legittimo uno sterminio, pur nella unicità di quanto è stato, evoca indubbiamente la Shoa, i terribili anni ’30 e ’40 del Novecento, quando “essere semplicemente ebrei, o Rom o Sinti o testimoni di Geova, o omosessuali” ne autorizzava la persecuzione e sopressione.
Pensare che essere stati vittime dell’Olocausto autorizzi il “popolo eletto”, come usa sostenere la destra estrema sionista israeliana, a considerare i Palestinesi come un corpo estraneo in quel territorio, e legittimarne la pulizia etnica è una delle armi più nefaste nelle mani del sionismo più becero. Il popolo eletto ha il diritto di aizzare i cani da combattimento dell’esercito israeliano su un disabile down di ventiquattro anni, poi morto in solitudine il 3 luglio 2024? (da un’inchiesta della BBC).
L’incitamento al genocidio si è normalizzato se un insegnante di educazione civica, Eli Ranmalik in un post, ora cancellato, si chiedeva “Perché lo Stato di Israele non preleva gli organi dei detenuti del 7 ottobre…ci sono così tanti pazienti in attesa di un miracolo. Perché non prendere questi subumani e costringerli a fare qualcosa di utile per l’umanità?” (da Rula Jebreal “Genocidio, quello che rimane di noi nell’era neoimperiale”, Piemme, 2025, pag.281).

Forse la timida, se non complice, reazione dell’Occidente a quanto è successo a Gaza, nasconde una più profonda e latente questione razziale. Già Orwell nel 1945 sottolineava come La Palestina è una “questione di colore”. È la domanda che si pone Pamkaj Mishra, scrittore e saggista indiano, nel suo fondamentale “Il mondo dopo Gaza”. Il razzismo è alla base del colonialismo, e nel 1975 “India, Cina e Indonesia, furono tra i paesi che approvarono una risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite che definiva il sionismo una “forma di razzismo e discriminazione razziale” e le diseguaglianze razziali erano ben presenti in Nelson Mandela, quandoi affermò che la libertà del Sudafrica dall’apartheid “era incompleta senza la libertà dei palestinesi”.
Il sionismo, e la sua deriva nazionalista, è sempre stato criticato dai più importanti intellettuali ebraici, che ne avvertivano, e lo esplicitavano, il pericolo. Uno per tutti: Hannah Arendt. Nel 1946 sciveva al filosofo Gershom Scholem, legato da grande amicizia con Walter Benjamin, di essere convinta che “C’è il rischio molto reale che un nazionalista coerente non abbia altra scelta che di diventare razzista” e che “La metamorfosi di un popolo in un orda razziale è un pericolo sempre presente nella nostra epoca…credo fermamente che uno stato-nazione ebraico sarebbe un gioco stupido e pericoloso”.
Dunque siamo in buona compagnia e chi denuncia il sionismo non è antisemita, e non ci sono popoli unti dal signore, o brava gente più di altri, o innocenti, forse solo i bambini, non a caso le vittime principali delle guerre, e una buona dose di pessimismo verso l’umana genia ci fa riflettere sul monito di Primo Levi: “Meditate che questo è stato…”.

