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Addio a Gino Strada

Due giorni fa in coda al TG una notizia dell’ultim’ora “È morto Gino Strada, cordoglio unanime…”. Poco dopo un messaggio su WhatsApp  da un figlio lontano “Povero Gino Strada, bisogna rileggere Pappagalli verdi, io l’ho letto a 12 anni. Così, frugando tra i libri, ho ripreso in mano quel libro, il primo scritto da Gino Strada, che aveva come sottotitolo “Cronache di un chirurgo di guerra” (Feltrinelli, 1999).

In una breve premessa al libro Strada scrive “Cosa vorresti fare da grande? Quando ero un ragazzino, rispondevo “il musicista” o “lo scrittore”…ho finito col fare il chirurgo, il chirurgo di guerra per la precisione…fine della nostalgia e il rimpianto di non saper suonare uno strumento né scrivere un romanzo”.

Moni Ovadia nella prefazione richiama il motto latino che fotografa in istantanea tutta la vita di Gino Strada: primum vivere, deinde philosophari,vale a dire “Prima (si pensi) a vivere, poi (a) fare della filosofia”. È un motto che si adatta perfettamente ai nostri giorni, quando molti filosofi, anche rispettabilissimi, discettano di “dittatura sanitaria”, di “biopotere”, di “libertà sospesa” per una misera green card, mentre i morti da coronavirus nel mondo superano i quattro milioni, e in tante parti, nelle aree più povere soprattutto, non si è neanche alla prima dose di vaccini.

In quelle aree Strada ha sempre operato, a contatto con la nuda materialità delle guerre, con corpi da curare, ricucire, salvare, accompagnare alla morte. Da quei corpi, vittime di quella materialità martoriata, potrebbe allora derivare una diversa “politica” o una diversa “filosofia”.

Ma torniamo al libro. La copertina ne spiega in parte il senso: un bambino ferito e bendato adagiato su una povera branda e in alto un pappagallino, o una farfalla, che aleggia su di lui. Dove vive quel bambino, dove è stato ferito? E cosa rappresenta il pappagallino verde? Il bambino potrebbe essere in Kurdistan, in Pakistan, in Ruanda, a Shivaraz vicino al confine tra Iran e Iraq, in Beluchistan, a Kabul, a Suleimania nel Kurdistan iracheno, a Damasco, a Ayacucho in Perù, ad Addis Abeba in Etiopia, in Angola, a Khao.I-Dang al confine tra Thailandia e Cambogia, a Gibuti, a Sarajevo, tutti luoghi dove hanno operato Gino Strada ed Emergency, l’Associazione da lui creata nel maggio 1994 a Milano, assieme a sua moglie Teresa Sarti. Quei luoghi sono altrettanti capitoli del libro, che si incentra in particolare sull’effetto delle mine antiuomo sui bambini, “ordigni disumani dei quali l’Italia è stata tra i maggiori produttori” (pag 156), anche se ora con legge n. 374 del 22 ottobre del 1997 tali ordigni bellici sono stati messi al bando.  

Strada racconta (IX capitolo) di come un vecchio afgano “con i sandali rotti e infangati” gli avesse raccontato dei pappagalli verdi, mentre vegliava su Khali prima di entrare in sala operatoria. Il figlio di sei anni era stato massacrato da una mina giocattolo modello PFM-i., di fabbricazione sovietica, una delle tante che vengono lanciate dagli elicotteri: hanno la forma di un pappagallo, o di una farfalla, di circa dieci centimetri, con due ali laterali verdi, cadono leggere come volantini e si sparpagliano nel territorio. Strada non ci voleva credere, ma nel concreto agire di anni annota “tra gli sventurati feriti da queste mine che mi è capitato di operare, non uno era adulto. Neanche uno, in più di dieci anni, tutti rigorosamente bambini” (pag.37). Ma anche le mine di fabbricazione italiana vs-50, vedi la storia di Haider, il ragazzo curdo a cui è stato amputato un piede e i cui amici sono morti, e di cui si parla in uno dei primi capitoli, sono altrettanto letali.

I loros sono i pappagalli verdi del Perù e per i campesinos locali rappresentano la violenza e rapacità dei militari al potere. Così nel dialogo tra Gino Strada e Nestor, l’artista e poeta peruviano, conosciuto in occasione dell’organizzazione del reparto di chirurgia di Ayiucucho, si legge “Così abbiamo immaginato – sapendo che era tutto maledettamente vero – un ingegnere efficiente e creativo, seduto alla scrivania a fare bozzetti, a disegnare la forma della PFM-i. E poi un chimico, a decidere i dettagli tecnici del meccanismo esplosivo, e infine un generale compiaciuto del progetto, e un politico che lo approva, e operai in un’officina che ne producono a migliaia, ogni giorno.”

L’interrogativo è sempre lo stesso: quello dell’origine del male nelle società cosiddette evolute,  della sua  banalità, e delle guerre, che hanno caratterizzato la storia dell’umanità, nelle sue alterne vicende, e ancora oggi in tante parti del mondo.   

Per questo raccogliamo l’invito di Gino Strada, sull’utilità della lettura del suo libro ancora oggi attualissimo “ Spero solo che si rafforzi la convinzione, in coloro che decideranno di leggere queste pagine, che le guerre, tutte le guerre sono un orrore. E che non ci si può voltare dall’altra parte, per non vedere le facce di quanti soffrono in silenzio.“

Tonino Sitzia, 15 agosto 2021
 

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3 Commenti

  1. Abbiamo sempre ammirato la forza d’animo di Gino Strada. La sua scomparsa è una perdita incolmabile che ha generato in noi una profonda commozione. C’è un triste e indissolubile legame tra la scomparsa di Gino Strada e la tragica situazione in Afganistan.
    Nel suo ultimo articolo “Così ho visto morire Kabul” pubblicato su “La Stampa” il 13 Agosto 2021 (https://www.lastampa.it/topnews/lettere-e-idee/2021/08/13/news/cosi-ho-visto-morire-kabul-1.40594569), Gino Strada mette in evidenza che la guerra all’Afghanistan è stata una guerra di aggressione iniziata, all’indomani dell’attacco dell’11 settembre, dagli Stati Uniti a cui si sono accodati tutti i Paesi occidentali, inclusa l’Italia.
    In questo articolo si sottolinea che, nonostante il parere negativo del consiglio di sicurezza dell’ONU, gli USA decisero di intervenire militarmente giustificando l’aggressione come una guerra al terrorismo. Questa guerra nasceva in realtà da interessi economici legati alla gestione del controllo delle multinazionali Usa del petrolio sui futuri oleodotti e gasdotti dall’Asia centrale fino al Pakistan.
    Viene messo in evidenza che l’intervento della coalizione internazionale si tradusse, negli anni successivi in centinaia di migliaia di morti a causa della guerra, della fame, delle malattie e della mancanza di servizi essenziali.
    Gino Strada ha vissuto in Afghanistan per sette anni, durante i quali ha osservato un aumento del numero dei feriti e della violenza.
    Ciò che traspare dal suo articolo è una profonda amarezza. Quella di chi, come lui, ha dedicato la sua vita e si è speso con tutte le sue forze nella speranza di costruire un futuro migliore per tutti. Gino Strada rimarca che l’intervento in Afghanistan è stato un fallimento da ogni punto di vista e che solo le grandi industrie di armi hanno tratto vantaggio da questa guerra.
    Nonostante questa situazione drammatica gli ospedali e lo staff di Emergency continuano a lavorare in mezzo ai combattimenti, correndo anche dei rischi per la propria incolumità: Gino Strada rivolge a loro il suo pensiero e agli afghani che stanno soffrendo in questo momento, e li considera veri “eroi di guerra”.

  2. Con la sua azione concreta, con la sua Emergenzy, Gino Strada era davvero contro la guerra, per la pace. Con i fatti, con il suo impegno. Non so se si possa dire di lui che era un “pacifista”; sicuramente la sua azione era un contrasto continuo nel tempo, senza soste, contro la guerra, le guerre, accese in varie parti del mondo. Un mondo affatto non in pace.
    I fatti sono lì a dirci che il movimento pacifista ha fallito. Ha fallito in Afganistan: non si è fermata quella guerra Nato condotta dagli Usa che volevano assicurarsi il controllo geopolitico di quell’area, e una vendetta. Dopo milioni di persone (i popoli del mondo) nelle strade, nelle piazze a manifestare per la pace, contro la guerra imminente in Irak, quella guerra tremenda incendia e carbonizza un intero Paese. E che dire dei dieci anni di guerra in Siria? Sconvolgente solo a pensarvi. Il movimento pacifista (o quel che ne resta) dovrebbe cercare di capire questi fallimenti. Se c’è un nuovo imperialismo che non può convivere con un mondo in pace, bisognerebbe indagare le cause più profonde della guerra e cercare le risposte più efficaci, continue e articolate di contrasto.
    Gino Strada è stato l’esempio forte, concreto di come può essere una società di tipo “socialista”. Non grettamente mercantile; non retta dalle leggi ferree del capitalismo dove tutto è ridotto a merce; dove il profitto privato è ottenuto dal lavoro che è fatto sociale…

  3. Ho provato una tristezza infinita nell’apprendere la notizia della morte di Gino Strada, uomo grande e straordinario la cui figura onora il nostro Paese e ci fa sentire orgogliosi di essere italiani. Non riesco neppure ad immaginare il dolore e l’orrore provati nel corso della sua lunga attività di chirurgo spesa ad aiutare i civili martoriati dalla guerra, soprattutto bambini, nei luoghi citati da Tonino nel bellissimo e toccante ricordo.
    Un altro giusto se ne va lasciandoci un po’ più soli ad attendere l’ennesima inutile e stupida guerra con il carico di morte e di orrori che inevitabilmente porterà con sé.

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