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Curiosità : La “peste” di Atene

Nei giorni scorsi guardavo su Rai 3 un programma nel quale la Professoressa Eva Cantarella*   citava Tucidide e  la sua opera “La guerra  del Peloponneso” nella quale lo storico greco descrive minuziosamente, nel secondo libro,  il morbo che colpì  Atene nel 430 a.C.  durante il secondo anno di guerra contro Sparta. Il racconto della Professoressa Cantarella mi ha riportato ai tempi del Liceo, a quando i fatti riportati da Tucidide,  mi sembravano  avvenimenti  di un passato lontanissimo che non potevano interessare più di tanto una ragazzina che si cimentava allora con una lingua complessa e ostica.

Quando mai noi, umanità moderna, con vaccini e medicinali che curano quasi tutte le malattie, avremmo potuto vivere un’esperienza simile a quella che vissero gli Ateniesi nel 430 a.C.? Alla luce di tutto quello che stiamo vivendo col Covid-19, la  curiosità mi ha spinto a riprendere in mano il testo di Tucidide (che ricordavo molto vagamente) e rileggendolo , mi sono resa conto di quanto  esso sia attuale e di come, nel terzo  millennio, siamo fragili, ora come allora, di fronte alle pandemie. La cosiddetta peste di Atene (che gli studiosi moderni ritengono che forse si trattò di una forma influenzale particolarmente  aggressiva  o di una febbre tifoide), arrivò improvvisamente.

Tucidide

Lo stesso Tucidide,  che era uno dei comandanti, si ammalò e fu quindi in grado, osservando se stesso e gli altri cittadini colpiti, di descrivere  i sintomi del misterioso morbo. La pandemia partì dall’Etiopia, passò in Egitto, in Libia, nel vicino oriente, in Anatolia e giunse ad Atene attraverso il Pireo. Gli Ateniesi erano asserragliati, a causa della guerra, dentro le mura della città e pensarono che i nemici, gli Spartani, avessero avvelenato i pozzi.  Una specie di guerra batteriologica, con un responsabile ben preciso.  Oppure si trattava di  una punizione degli dei? Tucidide, al contrario, con il suo sguardo ateo e razionale, analizza la malattia e conclude che poiché morivano anche gli animali che si cibavano dei cadaveri non sepolti, non bisognava cercare un responsabile; si trattava di un morbo aggressivo e sconosciuto che aveva colpito moltissime popolazioni. Durante quella pandemia morì lo stesso Pericle, stratego di Atene, e il suo amico Fidia, il più grande scultore dell’antichità. Almeno un terzo degli abitanti di Atene morì.

“nulla potevano i medici che non conoscevano quel male e si trovavano a curarlo per la prima volta e anzi erano i primi a caderne vittime in quanto erano loro a trovarsi più a diretto contatto con chi ne era colpito… Recarsi ai santuari in pellegrinaggio, consultare gli oracoli, tutto era inutile”.

Dal punto di vista psicologico, la malattia toccò profondamente gli Ateniesi;  ognuno di loro era convinto di dover morire e di non avere scampo. Morivano i medici,  morivano coloro che aiutavano i propri cari, morivano quelli che venivano lasciati da soli per paura del contagio. Tucidide descrive i sintomi della malattia: starnuti, raucedine, tosse violenta, diarrea, arsura, arrossamento degli occhi. Coloro che sopravissero erano ridotti a spettri che non avevano più memoria di sé e dei propri familiari. Pensando  di essere condannati a una morte certa, molti Ateniesi diedero sfogo ai loro istinti più bestiali.  Non tutti i cadaveri ricevevano una degna sepoltura e molti venivano gettati  sulle pire che erano state preparate per altri morti .  Il morbo distrugge le famiglie, spezza i vincoli sociali, disgrega la società.

nessuno era più disposto  a perseverare in quello che prima giudicava fosse un bene… La paura degli dei o delle leggi umane non rappresentava più un freno…”.

Tucidide con uno scritto di 2400 anni fa, ci invita a lottare anche nelle situazioni più difficili, quando tutto sembra perduto, coltivando sempre l’amore per il prossimo e la solidarietà, allontanando da noi l’odio e l’indifferenza.

*Eva Cantarella , storica, ha insegnato Istituzioni di Diritto Romano e Diritto Greco Antico all’Università di Milano.

Marina Cozzolino

17 maggio 2020

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