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27 Luglio 2024
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Il Rapporto di Amnesty International 2023/24

Anche senza scorrerlo per intero (Infinito edizioni, 2024) l’ultimo, rigoroso, rapporto di Amnesty su “La situazione dei diritti umani nel mondo” è impressionante e drammatico.

Frutto delle ricerche sul campo da parte di ricercatrici e ricercatori in 155 paesi del mondo, esso documenta come siamo di fronte ad una regressione di tutti i principi sanciti dalla Carta dei diritti universali dell’ONU del 1948. Ancora fumavano le macerie della Seconda Guerra Mondiale, con i suoi oltre 50 milioni di morti, e la Carta, nel preambolo, ad esorcizzare quei dati e l’immane tragedia, recitava al secondo capoverso: “Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie che offendono la coscienza dell’umanità, e che l’avvento di un mondo in cui gli esseri umani godano della libertà di parola e di credo e della libertà dal timore e dal bisogno è stato proclamato come la più alta aspirazione dell’uomo”…

Possiamo affermare che oggi, in tante parti mondo, da Israele a Gaza e ai territori palestinesi occupati, dall’Ucraina, dall’Etiopia al Myamar, dal Sudan all’Afghanistan, solo per fare qualche esempio, non ci siano atti di barbarie, il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani che offendono la coscienza dell’umanità? Possiamo affermare che ci siano, diffuse nel mondo, luoghi dove è garantita la libertà di parola, di credo religioso, di eguaglianza e pari opportunità di genere e di razza? Possiamo affermare  che l’uomo si è liberato dallo stato di bisogno materiale e dalle ingiustizie sociali? “Mai più” si gridava allora, come un mantra e un impegno universale, dopo la Shoah e Hiroshima, dopo i milioni di morti tra la popolazione civile. Eppure nel Rapporto di Amnesty International è come se la Storia subisca una torsione all’indietro, a conferma che essa non è mai lineare, e non ha affatto un andamento progressivo.  

La Segretaria generale di Amnesty International, Agnès Callamard, nella sua introduzione al Rapporto, evoca il celebre film “Ritorno al futuro”, il cui protagonista, il diciassettenne Marty, attraverso la macchina del tempo ideata dallo scienziato balzano ed eccentrico, che lui chiama “Doc”, viene proiettato nel 1955, e si trova a convivere con i propri futuri genitori ancora adolescenti. Era il 1985, Mandela era in carcere, un muro divideva in due Berlino. Ebbene “Oggi nel mondo esiste ancora l’apartheid, i muri si sono moltiplicati e il numero di persone che vivono in contesti democratici è regredito a quello di 40 anni fa”. Dunque c’è da chiederci “In che anno siamo?”

La macchina del tempo ci fa tornare indietro di decenni, proprio mentre, schizofrenia dell’oggi, l’intelligenza artificiale ci proietta in futuro quanto mai incerto: “Le Big Tech che alimentano conflitti e discriminazione, hanno fatto di tutto per evitare una regolamentazione equa e rispettosa”. Particolarmente allarmante, a questo proposito, è il monito di Agnes Callamard: “Nel 2023, gli stati hanno fatto sempre più spesso ricorso alle tecnologie di riconoscimento facciale a supporto del controllo delle proteste pubbliche, negli eventi sportivi e, in generale, nei confronti delle comunità marginalizzate, e specialmente di migranti e rifugiati. Per la gestione della migrazione e il controllo delle frontiere ci si è affidati a tecnologie illegali, tra cui quelle legate all’esternalizzazione delle frontiere, software di raccolta dati, biometrica e sistemi decisionali basati su algoritmi…Nel 2023, Amnesty International ha scoperto l’uso dello spyware Pegasus contro giornalisti e attivisti della società civile in Armenia, Repubblica Dominicana, India e Serbia, mentre lo spyware creato nell’Ue veniva venduto a stati di tutto il mondo”.

Quali sono i campi in cui si assiste ad una regressione dei diritti umani? Ne sottolineo quattro, tra gli altri:

1. Violazioni del diritto internazionale umanitario: vedi Hamas (7 ottobre 2023) con l’uccisione di centinaia di civili, la presa di ostaggi e il lancio di razzi,  vedi le autorità israeliane che si sono prese gioco di alcune delle orme cardine del diritto internazionale, “trascurando i princìpi di distinzione e proporzionalità con l’accettazione di enormi perdite di vite civili e la massiccia distruzione di obiettivi civili”. Nel 2023, le forze governative e i gruppi armati hanno analogamente mostrato disprezzo per il diritto internazionale umanitario nei conflitti armati in Afghanistan, Burkina Faso, Camerun, Repubblica Centrafricana (Central African Republic – Car), Repubblica Democratica del Congo (Democratic Republic of Congo – Drc), Etiopia, Libia, Mali, Niger, Nigeria, Somalia, Sud Sudan, Siria e Yemen. I civili hanno pagato il prezzo di attacchi indiscriminati e altri attacchi illegali, alcuni dei quali hanno costituito crimini di guerra.

Discriminazione razziale ed etnica: il razzismo è alla base di alcuni conflitti armati, e delle risposte che ad essi si danno. Su questa base si spiegano le strutturali politiche discriminatorie negli USA, ma anche le restrittive politiche anti immigranti in atto in tutto il mondo, compresa l’Europa

3. La violenza di genere (e la negazione dei diritti delle persone lesbiche, gay, bisessuali, transgender e intersessuate). I femminicidi in Italia ne sono una triste testimonianza, e nel rapporto si legge “In Messico, nel 2023, sono state uccise in media circa nove donne al giorno. In paesi come Algeria e Tunisia, si sono verificati casi di donne vittime di “delitti d’onore”. Gli effetti devastanti di pratiche dannose sono stati esemplificati dalle morti nel 2023 di una ragazza di 16 anni, che ha preferito togliersi la vita per sfuggire a un matrimonio forzato in Niger, e di una bambina di due anni sottoposta a mutilazione genitale femminile in Sierra Leone.

4. L’impatto delle crisi economiche e del cambiamento climatico. Le diseguaglianze sociali ed economiche aumentano a danno dei paesi più poveri e delle fasce più esposte e marginali della società.

Mentre concludo questo articolo, l’ambasciatore di Israele all’ONU faceva a pezzi  la Carta delle Nazioni Unite, criticando la risoluzione dell’Assemblea generale (Italia astenuta), che approvava l’ingresso dello Stato palestinese come membro delle Nazioni Unite. Un simbolico De Profundis ad una Carta già ampiamente tradita da quanto esposto nell’ultimo Rapporto di Amnesty International

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1 commento

  1. Puntuale Tonino con l’articolo su “Il rapporto di Amnesty International” ci ricorda fatti nevralgici e cruciali che diverranno storia.
    Di seguito solo alcune mie riflessioni.
    “Considerato che il disconoscimento e il disprezzo dei diritti umani hanno portato ad atti di barbarie…” Ecco, già nel preambolo della Carta dei diritti universali dell’ONU del 1948, echeggia un dire che disvela una cultura euro-centrica, se si vuole, euro atlantica.
    Il male, quello estremo assoluto, verrebbe a noi “occidentali” (senza dubbi, in modo naturale, scontato, conseguente) da fuori, alieno: ecco i barbari! Quando invece le radici affondano in un humus storico, economico, culturale endogeno.
    Può l’ONU imporre il rispetto di questa sua Carta? È evidente che non può. Da qui la sua crisi, i suoi stanchi rituali, la sua impotenza.
    E non si dimentichi che il razzismo, talvolta inconscio, ha a che fare con quanto detto poco sopra.
    Ecco un esempio. Nel cuore dell’Europa la questione irlandese che si protrae anche dopo la seconda guerra mondiale.
    Conseguenza della storica ingerenza inglese, in Irlanda si afferma l’IRA ed il terrorismo cattolico che si contrappone a quello protestante degli “Unionisti” nelle Contee del nord. Due terrorismi di “matrice” cristiana!
    Ora l’Inghilterra non ha mai pensato (non si è mai neanche sognata) di bombardare e radere al suolo i quartieri cattolici , in risposta agli attentati, dove nuotava come pesce nell’acqua l’organizzazione terroristica dell’IRA. Impensabile, impossibile: no, in Europa proprio non si fa.
    Ma quando il terrorismo “islamico” ha colpito l’”Occidente”, l’Europa, i “bianchi”, la risposta atlantica è stata totale e terribile. Ne hanno sofferto le popolazioni inermi afgane e poi dell’Irak, sotto le bombe che hanno portato morte e devastazione, e lasciato desolazioni. Giusto, “naturale”: è la guerra al terrorismo.
    Ed è il razzismo che ha determinato ciò. Le genti di quei luoghi, di quelle “nazioni”, sono i barbari ai confini. Non “bianchi”, non “occidentali”, ma masse indistinte e informi…
    La cosa si ripete oggi, con più concentrata criminalità, forse sterminio, nella Striscia di Gaza: in pochi mesi fra i 30 e i 40 mila inermi uccisi, con la distruzione delle case e delle infrastrutture di ogni tipo. Certo va detto anche che lì, in quelle terre bibbliche, la storia e le intricate vicende umane hanno determinato una complessità tutta speciale che non ammette comode semplificazioni. Per ora non dico altro. Sono in lutto per Gaza. Ma per favore non si chiami guerra ciò che è in atto a Gaza. E un crimine è un crimine: non una “risposta sproporzionata”, non “un errore” come pure si sente nei commenti radio e TV.
    Quando a Gordio Alessandro il grande prova e riprova a sciogliere il mitico nodo per poter conquistare, secondo la leggenda, l”Oriente”, spazientito sguaina la spada e lo recide.
    Ma, a ben considerare, dato che quell’intrico è stato reciso con la spada, ancora oggi è da sciogliere l’indurito nodo dei rapporti tra l’”Oriente” e l’”Occidente”.

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