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13 Dicembre 2024
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Uwe Wittstock “Febbraio 1933. L’inverno della letteratura” (Marsilio 2023)

Berlino 27 febbraio 1933, ore 21.00 circa, esattamente 90 anni fa, nella capitale tedesca si diffonde la voce che il Reichstag, la sede del Parlamento, è a fuoco: l’incendio rischiara la fredda notte berlinese. Hitler, che il 30 gennaio 1933 era stato nominato Cancelliere a seguito della vittoria del partito nazista alle elezioni politiche del 1932, accompagnato da Göring, Goebbels, Von Pappen, Diels, si recano davanti al palazzo in fiamme e addossano la colpa ai comunisti, ai Socialdemocratici della SPD, al complotto giudaico: vorrebbero, a detta dei nazisti, instaurare una dittatura proletaria in Germania. Rudolf Diels, capo della polizia politica prussiana a Berlino, sente Hitler affermare che “Non ci sarà nessuna pietà adesso, chi sbarra la strada sarà massacrato…” Viene accusato dell’incendio il giovane comunista di origini olandesi Marinus Van der Lubbe, che verrà poi giustiziato (10 gennaio 1934). In realtà, come si dimostrerà poi nei processi di Norimberga (1945) i veri mandanti dell’incendio furono Göring, Goebbels e Rudolf  Diels, che poi sarà capo della Gestapo.

Il 28 febbraio Hitler riunisce il governo. Nessuno obietta alla decisione di sottoporre al vecchio e debole presidente Hindenburg Il Decreto del Presidente del Reich per la protezione del Popolo e dello Stato e il Decreto contro il tradimento del Popolo tedesco e le attività sovversive. Hindenburg firma: è la fine della democrazia in Germania, e l’inizio della dittatura. Tutti diritti civili vengono aboliti fino a nuovo ordine“. Dureranno per tutta la durata del periodo nazista.

George Grotz: interrogatorio nazista

Questo, per sommi capi, è il quadro storico in cui si muove il libro di  Uwe Wittstock  “Febbraio 1933. L’inverno della letteratura”. Nel giro di un mese, nel giro di quattro settimane, un intero e variegato panorama di artisti, scrittori, editori, galleristi, uomini di scienze, sono costretti a scegliere se e come lottare contro la barbarie incombente, quando la paura si insinua nelle loro vite e negli loro affetti, se restare o andare in esilio per continuare a sopravvivere del proprio lavoro e a interrogarsi sul ruolo dell’arte quando la libertà di espressione viene messa in discussione. L’autore ne segue le vicende, attraverso testimonianze, articoli di giornale, diari, lettere, ricordi, nel concitato precipitare degli eventi, verso “Una morte annunciata, quella di un’intera società che, col senno di poi, incredibilmente nessuno aveva previsto.”

Quasi tutta l’intera letteratura tedesca del periodo, da Bertolt Brecht a Thomas Mann e tutta la sua famiglia, i figli Erika, Klaus e Golo, il fratello Heinrich, da Else Lasker-Schüler a Erich Maria Remarque ad Alfred Döblin e George Grosz, per citare alcuni dei più noti fra le 33 biografie che vengono seguite nel libro, viene drammaticamente decapitata. E con essa tutta quella fioritura di speranze introdotte nei più svariati campi dell’arte durante la decennale durata della fragile Repubblica di Weimar (1919 -1933), in un periodo travagliato per la storia tedesca ed europea: il movimento Dada, le avanguardie, il Bauhaus, lo stesso modello di radicale costituzione come esempio in tutto il ‘900.

Il libro non si sofferma solo sui nomi più celebri, ma anche su quelli meno noti, per esempio Carl von Ossietzky, giornalista, pacifista, coraggioso oppositore del regime, Nobel per la pace nel 1935, morto per tubercolosi nel 1938, o anche sui quelli che per carrierismo o pusillanimità, piegarono la testa, come Gottfried Benn, che chiamato dai nazisti a dirigere il dipartimento di Letteratura dell’Accademia di Prussia, pretese di far firmare ai suoi componenti una umiliante dichiarazione si sottomissione e fedeltà al regime.

Il 30 gennaio 1933, il giorno in cui Hitler è nominato Cancelliere, Joseph Roth (l’autore de La marcia di Radetzky  e di altri capolavori) lascia Berlino per l’esilio a Parigi e scrive all’amico Stefan Zweig “Intanto le sarà chiaro che ci avviciniamo a grandi catastrofi. A parte quelle private – la nostra esistenza letteraria e materiale è annientata – tutto porta a una nuova guerra. Io non do più un soldo per la nostra vita. Si è riusciti a far governare la barbarie. Non si illuda. L’inferno comanda”.

Tonino Sitzia

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