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Chiloè (Cile) – Novembre 2019

Castro (Chiloè) – Palafitos

Tra alterità e omologazione

Quando da Puerto Montt il bus Cruz del Sur arriva a Pargua, sulla carretera 5 Sur Panamericana  a nord est del canale di Chacao, il tempo rallenta. È il tempo lento del mare che segue i ritmi dell’Arcipelago di Chiloè, e della sua Isla Grande, per grandezza la seconda isola del Cile, dopo l’Isla Grande della Terra del Fuoco, e la quinta del Continente sudamericano.

Il bus pian piano viene parcheggiato su una chiatta, unico mezzo per colmare il breve tratto di mare che separa il continente da Chiloè. In poco più di mezz’ora si arriva a Chacao, avamposto nord orientale dell’isola.Siamo nella Regione de Los Lagos, tra il 41° e il 42° parallelo di latitudine Sud.

A Chiloè il tempo e lo spazio sono diversi, scanditi dallo svolazzare dei cahuiles, i gabbiani dalla testa nera che danno il nome all’arcipelago, dalla loro voce stridula, e dal vento, che libera il cielo dalle sue ricorrenti nubi.

Esiste una costante resistenziale dei chiloti verso la terraferma, e ciò ha caratterizzato la storia dei rapporti tra Chiloè e il Continente: quando, nel 1818, il Cile cacciò gli Spagnoli e conquistò l’indipendenza (allora apparteneva alla corona spagnola e dipendeva dal vicereame del Perù) le comunità chilote si schierarono con i Borboni, e a Chiloè resistette, fino al 1826, il Fuerte San Miguel de Agüi all’estremità orientale della penisola di Lacuy, l’ultimo baluardo spagnolo in Cile. Oggi il forte si può visitare ed è monumento nazionale

Fuerte San Miguel de Agüi

Da allora Chiloè è rimasta ai margini della vita della repubblica, una “terra altra”, con tradizioni, miti, misteri, arretratezza economica. Non stupisce dunque la diffidenza delle comunità locali alla costruzione di un ponte di due chilometri e mezzo, con progetti ormai esecutivi, che dovrebbe colmare la breve distanza tra il Continente e l’isola. La soluzione condivisa e partecipata del dilemma alterità – omologazione è all’ordine del giorno a Chiloè.

Del resto come dare torto ad una terra che, dagli anni trenta agli anni sessanta del secolo scorso, ha sofferto l’emigrazione verso il nord minerario e verso la Patagonia cilena e argentina per lavorare nelle grandi estancias dei grandi proprietari, gran parte europei, che allevavano gli ovini e si arricchivano con il commercio della lana e della carne? Come giustificare il disboscamento delle risorse forestali (boschi di alerce) che ancora oggi costituiscono un enorme patrimonio naturalistico e turistico? Come sopportare la svolta neoliberista del sanguinario dittatore Pinochet (1973), che ha aperto le porte alle multinazionali dell’allevamento intensivo dei salmoni, che hanno depauperato la ricchezza dei mari dell’arcipelago?

Nonostante tutto, se Chiloè non è il Paradiso, merita una visita, perché, come tutte le isole, conserva un suo particolare fascino, una sua forza ammaliatrice.

Arrivo e visite a Chiloè

Piove, nuvole basse incombono. All’orizzonte una leggera nebbiolina limita la vista. Mentre ci dirigiamo verso Castro, la capitale dell’arcipelago, il paesaggio brumoso, che scorre dal finestrino del bus, evoca alcune delle misteriose e inquietanti figure della mitologia chilota. Dal fitto del manto boscoso potrebbero apparire los brujos, gli stregoni volti al male e praticanti la magia nera, oppure la fiuda, la strega bassotta che provoca la sciatica nei malcapitati vittime del suo insaziabile appetito sessuale, così come dal mare imbronciato, che ogni tanto fa capolino lungo la strada, potrebbe spuntare El Caleuche, il vascello fantasma che fa sentire i suoni accattivanti di una festa a bordo, per catturare i naviganti incauti.

Maria ci accoglie nel suo hostal dall’aria familiare, parla un italiano stentato ma sufficiente a favorire la conversazione, avendo lavorato per qualche anno con la Costa Crociere, e noi ci improvvisiamo in uno spagnolo altrettanto stentato.  Maria ci dà consigli e indicazioni sul nostro soggiorno a Castro, in particolare ci raccomanda di non perdere la visita alla Muelle de las Almas, il Molo delle Anime, nel Parco Nazionale di Chiloè.

Muelle de Las Almas

Castro si adagia su una scogliera, nel punto in cui il profondo fiordo, che prende il suo nome, si restringe ad imbuto sull’estuario del Rio Gamboa, e che la divide in due parti: da un lato il vivace e moderno centro urbano che declina verso il mare, con ripide strade che scendono verso il porto perpendicolarmente alla costa. Di fronte, dalla parte opposta, la fitta sequenza dei palafitos, variopinte casette di legno che si protendono verso il mare con i loro lunghi trampoli. Le casette sono modeste case di pescatori, alcune adibite oggi a cabañas, B&B, o piccoli ristoranti, ma altre conservano ancora la loro funzione perché ai pali conficcati sul mare sono legate delle barche come al guinzaglio.

Castro

Il sistema delle case in legno a palafitos, con i loro colori sgargianti, domina il paesaggio di Chiloè. Rialzate su pali di legno, per far fronte alle forti maree di queste parti , un tempo venivano costruite secondo il rito della minga, parola indigena, derivante dal linguaggio dei Chonos, Cuncoas e soprattutto gli Huilliches (o Wuilliches), gli abitanti originari di queste terre, prima dell’arrivo degli spagnoli.

Tale rito indica la collaborazione gratuita di tutta la comunità per diverse attività: oltre le case, le chiese, ma anche determinati lavori agricoli e la pesca.La pioggia ci accompagnerà nei giorni di Castro, ed è una nota dominante di Chiloè, a conferma di quanto si legge sull’arcipelago che è il più piovoso del Cile.

Eppure, quando decidiamo di visitare alcune delle piccole chiesette in legno, tutte variamente colorate, sedici delle quali considerate Patrimonio mondiale dell’Umanità dall’Unesco, il cielo si apre e il sole guadagna il suo spazio tra le nubi. Forse qualche divinità benefica ha allontanato los  brujos, oppure siamo stati aiutati da una machi, figura sciamanica centrale nella cultura mapuche, prevalentemente di genere femminile, che conosce le dinamiche del tempo e, soprattutto, le erbe medicinali con cui curava le malattie più gravi.

Introdotte dalle missioni dei Gesuiti nel XVII° secolo e poi dai Francescani nel XIX°, le iglesias o capillas di Chiloè sono un esempio della fusione armonica e originale tra la cultura e le tecniche indigene ed europee. Ne sono rimaste una sessantina delle 150 di un tempo, sono un miracolo di carpenteria lignea, frutto dell’incredibile abilità degli artigiani chiloti, che si manifesta particolarmente nella costruzione delle barche da pesca.

La chiesa in legno di Nostra Signora dei Dolori a Dalcahue (Chiloè)

Costruite in legno di alerce (larice), di coigüe (faggio) o cipresso, che abbondano nelle foreste di Chiloè come in tutta la Patagonia, sorgono a volte in centri abitati, più spesso in campagna, in magnifici contesti naturali, in genere in collina  rivolte al mare per essere a vista dei naviganti. Sorprendono per la varietà di colori, per i rivestimenti esterni in tejuelas, per una singola torre centrale, per l’ingresso ad arco, e per gli interni sobri ed eleganti, la cui volta richiama il fondo di una barca rovesciata.

La facciata della Chiesa di Tenaùn (Chiloè)

A Chiloè gli occhi si perdono in un alternarsi di boschi, praterie di ginestre, fattorie e pascoli con mucche e pecore, che a tratti richiamano la Baviera. Invece siamo a Chiloè, la porta della Patagonia.

Chacay, la ginestra di Chiloè

Sulla costa si alternano spiagge e calette, dove i pescatori ormeggiano le loro barche colorate e mettono a essiccare le alghe. In questi luoghi si può gustare l’autentico curanto all’hoyo, vale a dire curanto in buco, tipica comida comunitaria di Chiloè, che si può mangiare ormai in tutti i ristoranti del Cile meridionale e dell’Argentina patagonica.

In una buca profonda circa mezzo metro gli uomini posizionano le pietre infuocate e sopra accendono il falò. Le donne si occupano del companatico: all’interno di pentole di coccio, che verranno collocate nell’hoyo, sistemano pezzi di maiale, agnello, pollo, mariscos, verdure, alternati a chapeleles e milcao, patate bollite e ridotte in purè, fondamentali per ogni curanto e sue varianti. Il tutto innaffiato di brodo, che dicono essere afrodisiaco, e ricoperto di panni bianchi e sabbia. Ormai è raro cucinare il curanto alla maniera de is antigus, ma per mangiare un piatto così ricco e abbondante, anche se non cotto all’hoyo, bisogna essere molto allenati oppure chiloti.

Il tempo ci assiste anche quando decidiamo di visitare il Muelle de las Almas, come ci aveva consigliato la nostra ospite Maria. Il “Molo delle anime” è uno dei luoghi più evocativi di Chiloè, all’interno del Parco Nazionale omonimo. Ci arriviamo con uno dei tanti piccoli e sgangherati bus che costituiscono il reticolato dei trasporti di Chiloè, e che si dipana da Castro a tutto il territorio. Saranno pure sgangherati e scomodi, ma questi bus offrono un servizio prezioso per raggiungere i tanti villaggi e case coloniche che puntellano il paesaggio.

Così vediamo salire e scendere studenti, donne e uomini, bambini accompagnati dai genitori o dai fratelli o sorelle, che vanno e vengono da Castro. L’autista non ha molta fretta, saluta per nome tutti quelli che salgono o scendono, a volte non rispetta la parada, la fermata  prevista, ma si ferma a richiesta del passeggero.

Con uno di questi bus raggiungiamo Cucao, uno dei punti di ingresso al Parco Nazionale di Chiloè a circa 35 km da Castro. Da Cucao un altro bus, il più sconquassato che abbiamo preso in tutto il viaggio, fiancheggia il lago Huillinco e arranca sui tornanti che portano, dopo 12 km di salita affrontati con vigore dall’autista che smanetta con le ridotte, fino al parcheggio. Da qui,dopo aver pagato 1000 pesos per l’ingresso al Parco, parte uno sentiero di circa 10 km, che si snoda all’interno di una proprietà privata, per cui bisogna pagare altri 1500 pesos.

Arrayàn – Parco Nazionale di Chiloè

La spettacolare camminata attraversa lembi di foresta nativa di coigües, arrayanes e nalcas, si avvicina sempre più alle falesie che danno sull’immensità del Pacifico, fino ad arrivare alle scogliere di Punta Pirulil.

Qui una passerella in legno consente di avvicinarsi alla scogliera sul Pacifico, che ribolle con le sue bianche onde oceaniche. Qui si possono sentire i lamenti  delle Anime dei defunti, tra cui i tanti naviganti sacrificati al dio Oceano. Essi, secondo una leggenda del pueblo Huilliche, si presentano in  questo luogo con due monete al cospetto di Tempilkawe, il barcaiolo che ricorda  Caronte, perché li  traghetti nel mondo dell’aldilà dove finalmente potranno trovare pace . Non tutte le anime hanno le monete, così che sono costrette a fermarsi eternamente senza poter passare, continuando  a soffrire le pene di questo mondo. I loro lamenti e pianti si confondono con la furia delle onde.

Si raccomanda di non comunicare con i defunti che si lamentano, perché dopo un anno la Signora con la falce verrà a prendervi.

Noi rispettiamo l’usanza,la superstizione, i miti di cui Chiloè è impregnata, e ci fermiamo, ammutoliti e silenziosi, davanti a tanto spettacolo della natura.

 

 

Tonino Sitzia

Novembre 2019

(Foto di A.Sitzia e A.Tocco)

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1 commento

  1. Dopo aver letto attentamente lo straordinario racconto del viaggio in Cile non posso che farti i complimenti per per la passione per la narrazione che hai dimostrato di avere.
    Il racconto e’ ricchissimo di dettagli ed entusiasma il lettore e lo stimola a intraprendere un viaggio in quei luoghi affascinanti.
    Grazie Tonino per avermi socializzato le tue sensazioni ed emozioni che un viaggio riserva.
    Mi stai convincendo a visitare il Sud America e il Cile in particolar modo al posto della mia amata Asia che ogni volta mi stupisce e mi rapisce.

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