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Sardegna e identità. Riflessioni [di Gabriele Soro] a margine del libro “Sardi, Italiani? Europei”

Il 26 aprile 2019 il Circolo dei lettori Equilibri presenterà il libro di Giacomo Casti “Sardi, Italiani? Europei. Tredici conversazioni sulla Sardegna e le sue identità”.
Di seguito vi riproponiamo la recensione/riflessione di Gabriele Soro.

Più che una recensione, dopo la lettura di “Sardi, Italiani? Europei” di Giacomo Casti ed. Meltemi -una raccolta di tredici conversazioni sapientemente condotte dall’autore- qui di seguito in modo frammentario solo spunti, accenni, idee, considerazioni.
-L’interclassismo dei movimenti indipendentisti, come a dire populisti sovranisti: i sardi un tutt’uno indistinto dove scompaiono le disuguaglianze, i privilegi e le ricchezze da una parte, disagi e povertà dall’altra.
-L’interclassismo è buono per prendere voti alle elezioni, ma non per cambiare: la società rimarrà profondamente ingiusta. E anche i diritti rimarranno sbilanciati a favore dei più ‘abbienti’,o comunque saranno meno efficaci per i ceti più disagiati.
I discorsi attorno all’indipendenza, dice Giulio Angioni “sono cose troppo da Ottocento, non vale più la pena, o sono cose da Ucraina, non siamo più a quelle scelte, se mai lo siamo stati”.
Un fine antiquato e fuori tempo.
Condivido pienamente tutte le risposte che Giulio Angioni argomenta e ne riporto una: “Io mi sono abituato sin da piccolo a vivere con gente di tutta Italia e di tutto il mondo. E oggi apprezzo tutto questo africanizzarci e terzomondizzarci anche a causa degli immigrati, che ci portano il mondo sotto casa, e anche nel più intimo di casa, come le badanti, quasi sempre splendide creature provvidenziali. Se ci devono essere i dolori del parto, spero soprattutto nel parto di un nuovo mondo senza i nazionalismi del passato e del presente. Io amo molto la Sardegna, non concedo a nessuno il monopolio dell’amor di patria sardo, ma certe manifestazioni di patriottismo le sento spesso assurde, a volte anche ridicole, o inutili quando non dannose. Insomma, se non apparissi più vecchio di quanto sono, direi che io mi sento soprattutto internazionalista, magari alla maniera dell’internazionalismo proletario, in un mondo di liberi e di uguali. Se la sarda indipendenza servisse a questo, ben venga. Ma per me l’internazionalismo (futura umanità) è un presupposto necessario e fondante”.
Giulio Angioni ci dice che è un fatto che esistono delle peculiarità locali, ma è altresì un fatto che esistono le divisioni, i contrasti di classe che trascendono di molto le peculiarità etniche, o nazionali, o regionali.
-Indipendenza della Sardegna dall’Italia intesa come ‘strumento’ politico, fatto giuridico-amministrativo.
-Uno stato sardo, una repubblica sarda: sono la risposta politico-istituzionale per migliorare la condizione, la qualità della vita dei ceti subalterni? Non credo: perché viene saltato e rimosso quell’elemento di classe, quel conflitto inevitabile e insito all’interno di qualsiasi popolo (ricchi-poveri, sfruttatori-sfruttati, elite-emarginati); all’interno di società mercantili capitalistiche neoliberiste.
-Perché viene rimosso quel sistema economico capitalista (oggi sempre più sfuggente, globale e finanziario; sempre più sofisticato e tecnologico, telematico -una rete invisibile che ci tiene impigliati, dove restiamo adagiati e non ce ne preoccupiamo…) che determina anche la nostra condizione qui in Sardegna. Questo Sistema, questo capitalismo rimane l'”Innominato”.
-Si crede che sia tutto un problema di Stati (che pure contano e hanno il loro peso): lo stato italiano oppressore e responsabile di tutto (e poi vediamo che ci sono forze sovranazionali che lo limitano, lo condizionano, al di là delle sue complicità che pure agiscono): gli si contrappone un altro stato più piccolo, quello dei sardi, così rimanendo attardati ad una concezione ottocentesca di ‘stato-nazione’.
-Non si vede così la Sardegna ridotta a ‘staterello’ nella tempesta della globalizzazione.
-C’è in Italia chi pensa a uscire dall’Europa vista come nemica e causa di tutti i guai (e così com’è l’Europa certo non ci piace); così allo stesso modo c’è in Sardegna chi pensa a ‘uscire’ dall’Italia additandole ogni male, sorvolando sulle responsabilità indigene…
-Gli uomini prendono coscienza della loro posizione sociale e quindi dei loro compiti nel terreno delle ideologie, ci ricorda Gramsci. Non credo che oggi i sardi possano prendere coscienza della loro posizione sociale operando con le ideologie che sostengono l’indipendenza della Sardegna.
“Noi in quanto sardi non ci conosciamo affatto…” dice Marcello Fois intervistato. E ogni chiusura identitaria, aggiungo, ci allontana dalla conoscenza.
-Ecco, l’identità, il ‘conoscersi’ (individuale e collettivo) non può venire da sé stessi: ciò che si dice e si afferma di essere quasi mai è la ‘realtà’ oggettiva di chi siamo.
L’identità si definisce nel rapporto con gli altri, è un processo di riconoscimento…
Riporto un passo dalla “Rivolta dell’oggetto” di Michelangelo Pira: “Occorre una buona dose di ingenuità per considerare ancora oggi le connotazioni territoriali più importanti di quelle sociali, per privilegiare il dislocarsi dei gruppi sull’asse orizzontale dello spazio, anziché il loro dislocarsi sull’asse verticale della stratificazione sociale”
Ecco alcune domande che mi sento di rivolgere agli indipendentisti.
-Come intendete la politica estera di una ipotetica repubblica sarda?
-Quali i rapporti con l’Europa, ossia come si vede, come si immagina la Sardegna rispetto all’Europa?
-Come prefigurate i rapporti con l’Italia (da entità statale a entità statale): privilegiati, conflittuali, di collaborazione, come dire di buon vicinato, ecc. ?
-Che cosa ne facciamo della Carta Costituzionale che è a fondamento della Repubblica italiana dopo la sconfitta del fascismo (Carta che rivendica il suo essere antifascista)?
-Come si intende perseguire l’obiettivo dell’indipendenza, con quali forze, con quali strumenti, con quali lotte? Per esempio, il progetto di indipendenza della Catalogna è senz’altro di destra ed è segnato da chiusure egoistiche…
-Come guardiamo il Mediterraneo verso l’Africa con tutto ciò che ne consegue (emigrazioni, scambi commerciali, ecc.); per esempio che sviluppo agricolo, che politiche agricole rispetto al variegato continente africano? Le politiche agricole europee attualmente fanno molto male all’agricoltura dei Paesi africani…
Nelle conversazioni-intervista c’è una ricchezza culturale che spazia dall’arte nelle sue varie manifestazioni, alla letteratura -gli scrittori, i poeti, i libri citati: piacevole sentir discorrere di autori e delle loro opere, di racconti, di realtà, di sogni.
Ma chiudo queste mie considerazioni sugli interrogativi proposti che però tengono aperto il discorso.

Gabriele Soro

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1 commento

  1. Gabriele Soro dedica due articoli al tema dell’identità, assai sentito e più volte affrontato da Equilibri in tanti incontri con scrittori, giornalisti, cittadini.
    Più il mondo è globale e più si cerca una approdo identitario per combattere lo spaesamento, sentimento che colpisce tutti: coloro che restano e coloro che partono. Questi ultimi guardano in avanti, soffrono la vertigine che si prova ad essere “fuori dal paese”, sono disposti a tutto, anche a sacrificare i figli, mandandoli in balia del mare verso un nuovo paese. Coloro che restano guardano indietro, hanno paura, soffrono la sindrome di chi sente invadere il proprio campo da estranei che mettono a rischio certezze ataviche, il recinto simbolico che l’economia, la storia, la politica, il costume, la lingua li hanno cucito addosso. Così il bisogno dei recinti si tramuta in muri concreti da ripristinare, barriere difensive, nemici da costruire, e riaffiorano parole, e le parole sono pesanti e possono diventare piombo: Popolo, Etnia, Patria, Sovranità, Indipendenza, Identità e perfino Razza. Tali parole sono abusate dai demagoghi di turno, che semplificano temi di fondo: chi siamo? Come ci collochiamo nel mondo? Qual è il rapporto tra villaggio locale e villaggio globale? Qual è il nostro posto nell’universo? Quale segno lasciamo di noi, destinati a perire, nell’infinito storico?
    Si sente la mancanza di Giulio Angioni, morto proprio un anno fa (12 gennaio 2018) socio onorario di Equilibri e più volte citato da Gabriele Soro. Nel libro Anninnora, la raccolta poetica di Angioni pubblicata da “Il Maestrale”, c’è una poesia dal titolo “Filologia del villaggio”, che forse fa al caso nostro, ci aiuta a orientarci sul tema complesso dell’identità. Richiamando alcuni versi di Pessoa Angioni li riscrive così
    “Del mio villaggio vedo
    quanto della terra
    si può veder nell’Universo”
    Gran bel vedere: acuta quella lingua
    che dice in un sol termine
    pace, villaggio, ed universo mondo”

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