29 Marzo 2024
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Le biblioteche e i ragazzi venuti da lontano di Cecilia Cognigni

Molti avevano sperato che con un nuovo governo finalmente i figli di stranieri nati e cresciuti in Italia avrebbero ottenuto la cittadinanza. Le forze politiche che sostengono la necessità si modificare la legislazione vigente sono però una minoranza. Non vogliono una riforma i partiti di destra, non la vuole il movimento di Beppe Grillo che ha giudicato lo ius soli (principio sulla base del quale si diventa cittadini del paese dove si nasce) un’idea che serve solo a “distrarre gli italiani dai problemi reali”, frutto dei sentimenti “buonisti” della sinistra.

Queste posizioni denunciano chiaramente come in Italia prevalga e venga incoraggiata una mentalità chiusa, respingente e per certi versi arcaica. Concedere la cittadinanza agli stranieri, ai bambini stranieri che frequentano le nostre scuole, parlano italiano (e spesso anche i nostri dialetti), conoscono la nostra storia e la nostra cultura, e i cui genitori pagano le tasse nel nostro paese, è prima di tutto una questione di civiltà.

I minori, figli di stranieri in Italia sono circa 750.000, di oltre centonovanta nazionalità diverse, un decimo dell’intera popolazione minorile. I nuovi nati in Italia rappresentano il 12,6 % del totale delle nascite. Accogliere i figli degli immigrati, favorire la loro integrazione e una buona convivenza con gli italiani d’origine significa anche scommettere sul nostro futuro. Soprattutto in Sardegna dove, secondo una recente stima dell’Università di Sassari, entro il 2050, si perderà 1/3 della popolazione attuale.

La vigente legislazione sulla cittadinanza, basata sullo ius sangunis (si diventa automaticamente cittadini solo se si discende da italiani), appare oggi ingiustificata e contraddittoria. Poteva avere un senso fintanto che permetteva agli emigrati italiani di tenere un legame con la propria nazione d’origine, con la terra da cui a malincuore, in tempi non tanto lontani, erano dovuti andare via alla ricerca di un futuro migliore per sé e per i propri figli o semplicemente per sfuggire a un destino di povertà e miseria. Ma non più oggi che da terra di migranti siamo diventati un paese verso cui si emigra. Ogni anno, per le stesse motivazioni che spingevano i migranti italiani del passato a partire, arrivano in Italia romeni, marocchini, senegalesi, albanesi, cinesi.

Conoscere la nostra storia di migranti può aiutare a vedere la realtà sotto una diversa prospettiva e a fare scelte non solo meno egoistiche ma anche più intelligenti. Questa storia la si può raccontare in vari modi e da molte angolature. Cecilia Cognigni in un saggio, pubblicato da Editrice Bibliografica (2012), lo ha fatto dal punto di vista dei libri e delle biblioteche. Attraverso questo libro, intitolato “La biblioteca raccontata a una ragazza venuta da lontano”, l’autrice spiega a una giovane diciassettenne nata in Italia da genitori stranieri, quindi non in possesso della cittadinanza italiana, le opportunità che le biblioteche pubbliche offrono ai giovani stranieri e l’importante ruolo che svolgono nel favorire la multiculturalità.

Contemporaneamente Cecilia Cognigni ci ricorda quanta sofferenza, solitudine e nostalgia patirono i nostri avi che emigravano nelle Americhe e come le biblioteche pubbliche delle nazioni ospitanti svolsero un ruolo molto importante nel farli sentire meno soli, offrendo corsi di lingua, libri e giornali anche nelle lingue madri dei paesi di provenienza. E così facendo favorivano l’integrazione degli italiani e degli altri migranti nella società.

Anche gli stranieri che arrivano oggi in Italia hanno necessità di imparare la nostra lingua, ma allo stesso tempo sentono il bisogno di poter continuare a parlare e leggere nella propria lingua “madre”, la lingua con cui hanno imparato ad esprimere i loro sentimenti e le loro emozioni più profonde. “Poter leggere nella propria lingua i propri autori, i libri classici del paese di provenienza – spiega la Cognigni – aiuta a sentirsi a casa propria”.

Le biblioteche pubbliche sono le istituzioni più adatte a rispondere a questa esigenza. Da sempre infatti sono il luogo della multiculturalità per eccellenza. Per loro stessa funzione – fa notare l’autrice – le biblioteche ambiscono a raccogliere testi e documenti di paesi, culture e lingue diverse. La biblioteca di Alessandria è l’esempio più famoso. Inoltre la biblioteca pubblica – come è scritto nel Manifesto dell’Unesco del 1995 – è aperta a tutti e offre gratuitamente pari opportunità di accesso, senza distinzioni di età. sesso, lingua, religione o condizione sociale.

Anche chi non ha sufficienti risorse economiche dunque può “prendere in prestito un libro, leggere un giornale, navigare in Internet da un PC, fare una ricerca, consultare un antico manoscritto, vedere un film, ascoltare musica, partecipare a un incontro, frequentare un corso di lingua italiana, di lingua inglese o di computer”.

Così come in America nell’Ottocento anche in Europa oggi esistono molte biblioteche pubbliche multilingue che accompagnano il processo di integrazione degli immigrati. Per l’Italia l’autrice si sofferma in modo particolare sulla biblioteca comunale “Lazzerini” di Prato, dove risiede la comunità cinese più grande d’Europa. Questa biblioteca “da molti anni mette a disposizione della cittadinanza un ricco catalogo di libri in lingua cinese e oggi costituisce un punto di riferimento in Italia”. Inoltre ha istituito gli scaffali multilingue circolanti, raccolte di libri e altri materiali in più lingue che vengono messi a disposizione di altre biblioteche, ma anche di scuole e associazioni del territorio regionale.

A Torino invece, come avveniva a New York, Boston, Cleveland, dove gli immigrati italiani imparavano l’inglese, si tengono corsi di italiano per stranieri, spesso collegati a corsi di cittadinanza.

Ci sono inoltre molti altri modi attraverso i quali le biblioteche aiutano il processo di integrazione degli immigrati. In biblioteca – ci dice l’autrice – si fa controinformazione rispetto ai tanti luoghi comuni che circolano sul conto dei migranti extracomunitari, non molto diversi da quelli che un tempo circolavano sugli italiani che emigravano in America o in Australia.

Ma soprattutto in biblioteca ci sono i libri, che favoriscono la conoscenza reciproca e l’accettazione del pluralismo culturale. Si trovano storie che raccontano di mondi, lingue e culture diverse, ma anche di personaggi che rivelano molti punti in comune tra i popoli. Così può capitare di scoprire che il Giufà, lo sciocco delle fiabe arabe, è il “fratello gemello”del nostro Basuccu. E a rendere possibile questa condivisione sono state proprio le migrazioni degli uomini che trasferendo elementi della loro cultura dall’oriente in occidente, e viceversa, hanno contribuito a migliorare, trasformandole, le civiltà.

In biblioteca poi – ci segnala Cecilia Cognigni – tutti possono leggere romanzi come quello di Paolo Capriolo Io come te. Una storia dove si impara che “per comprendere fino in fondo cosa significa essere straniero e clandestino” bisogna mettersi nei panni degli altri.

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