29 Aprile 2024
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“LA RESISTENZA DELLE DONNE” di Benedetta Tobagi (Einaudi, 2023)

Si avvicina il 25 aprile, anniversario della Liberazione dall’occupazione nazifascista, e le date, le ricorrenze, se vogliono sfuggire alla sterile retorica ripetitiva, devono trovare modi e metodi storiografici per ravvivarne il senso nella contemporaneità. Ciò vale per tutte le date e le commemorazioni, ma, nello specifico, vale soprattutto oggi che da più parti, e dalle forze di governo in particolare, si fa fatica a pronunciare la parola antifascismo, dimenticando che la Costituzione, nella complessità delle sue istanze, è frutto della Resistenza e di tutte le forze politiche e sociali che vi hanno contribuito.

Il libro di Benedetta Tobagi (Vincitore Premio Campiello 2023), rende giustizia del ruolo, spesso trascurato, e marginalizzato, delle donne nella Resistenza, in quel periodo cruciale della storia d’Italia che va dalla caduta del regime fascista (25 luglio 1943), all’’armistizio dell’8 settembre, fino al 25 aprile del 1945.

Le donne furono determinanti protagoniste della Resistenza: non solo staffette in bicicletta, o porta ordini, non solo “compagne” dei partigiani, ma attive militanti per la libertà, che per loro era anche la libertà dai ruoli di genere a cui il patriarcato le aveva da secoli relegate. In uno dei capitoli finali, significativamente intitolato “Tristezza” Maria Antonietta Moro, infermiera, afferma «Il pauroso incubo non esiste più, ma io sono infinitamente malcontenta e triste di una tristezza fonda e inspiegabile», così come, Marisa Ombra, partigiana e scrittrice, nome di battaglia Donna, spiegava con parole ancora più nette la sensazione di una perdita, comune a tante donne che avevano partecipato alla Resistenza: «Finiva per noi ragazze la trasgressione, la nostra vita non sarebbe mai più stata straordinaria». Molte donne avevano scoperto non solo la lotta per la libertà dal nazifascismo, ma, la libertà, più profonda e ampia, di partecipare, alla pari con gli uomini, alla politica. 

Nella grande mole di studi e di ricerche sulla Resistenza, ad opera dell’ANPI, dell’Istituto Ferruccio Parri, dei vari Istituti che ad essa fanno riferimento, nelle memorie e negli archivi pubblici e privati, non mancano opere di grande rilievo letterario scritte dalle donne, quali, tra la altre, quella di Ada Prospero Gobetti, (“Diario partigiano”), di Renata Viganò (“L’Agnese va a morire”), di Joyce Lussu (“Fronti e frontiere”, “L’altra metà della Resistenza”), e nel libro della Tobagi non mancano i riferimenti a queste militanti e scrittrici. Eppure il libro della Tobagi si distingue per la sua coralità e per il ricco e fondamentale supporto iconografico che ne accompagna il ragionamento, a conferma di come la fotografia abbia ormai acquisito la dignità di fonte storica e lo storico Giovanni De Luna le attribuisce il ruolo di agente di storia, perché suscita in chi la guarda reazioni le più diverse (morali, sociali, politiche, emotive…).

La coralità in questo saggio, che assume il senso di un’epopea irripetibile, è data dalle storie di tante donne, con vicende e traiettorie di vite le più diverse, molte di loro analfabete, altre acculturate, studentesse, contadine, lavoratrici nelle risaie, laiche, comuniste, cattoliche, tutte donne con la loro fisicità, che può essere un arma, ma anche una condanna, e molte di esse, belle e meno belle, proprio in quanto donne nella Resistenza, dovettero subire l’affronto di essere definite puttane dei partigiani, essere arrestate, violentate e stuprate, essere uccise e deportate, vivere avventure ed amori. La molteplicità dei ruoli delle donne in questo straordinario e terribile periodo, è spesso sottotraccia, eppure fu di enorme portata: L’autrice riporta una parola, quasi un neologismo, coniata di Anna Bravo, (nel suo “In guerra senza armi. Storie di donne 1940- 45”) per descrivere ciò che fecero tante donne allora: maternage di massaMolte, non in armi, ma nella quotidianità dei giorni della Resistenza, ospitarono e nascosero partigiani ricercati, renitenti alla coscrizione con la Repubblica di Salò, prigionieri politici fuggitivi, curarono e salvarono feriti. Così l’abitudine alla cura si fa gesto civile, e il personale diventa politico.

Il protagonismo delle donne, e l’acquisizione di una inedita libertà di ruolo si manifesta in vari modi, per esempio, oggi sembra scontato ma allora no, nel portare i pantaloni e nell’uso delle armi, prima di allora nelle valli dove si combatteva era impossibile vedere una donna imbracciare un’arma, oppure assumere ruoli ci comando.

In quei due anni la vita scorreva, si combatteva, si intrattenevano amicizie, si instauravano rapporti che sarebbero diventati duraturi e di vita, si faceva l’amore (vedi capitolo a pag. 181), si ricomponevano i cadaveri e si accompagnavano i morti (pag.265/ 271). Poi a Resistenza finita, e nell’Italia liberata, quel sentimento di tristezza accennato all’inizio, quasi un rientrare nei ruoli tradizionali di mogli, madri, angeli del focolare, compagne. Le donne tuttavia avevano dato un contributo determinante, e sottovalutato, alla lotta di Liberazione, e un primo risultato fu quello del diritto di voto al referendum del 2 giugno 1946, le loro partecipazione all’Assemblea Costituente (furono 21 le donne costituenti), il determinante contributo all’art.51 della Costituzione, e successive modifiche fino all’inserimento del principio delle pari opportunità . Era solo l’inizio di una percorso ancora oggi in atto.  

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