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Addio a Nino Nonnis, autore teatrale, scrittore e giornalista pubblicista, ironico e partecipe osservatore di un mondo e di una Cagliari che non ci sono più, socio onorario e amico di Equilibri

Ieri è morto Nino Nonnis, attore e maestro elementare, poi docente universitario di “Memoria” presso la vulcanica Università di Aristan. Nel 2014  era diventato socio onorario di Equilibri, accettando di scrivere un racconto esclusivo, come tutti gli altri soci onorari (Maria Giacobbe, Mariangela Sedda, Giulio Angioni, Alberto Capitta, Giorgio Todde, Ottavio Olita) dal titolo “Jack amava Lucy”, tutt’ora leggibile nel sito www.equilibrielmas.it. Presso Equilibri aveva presentato “Una donna tutta d’un pezzo”, “Racconti non di solo sesso”, ed era stato a Elmas l’ultima volta nel 2015 (il 26 giugno) a presentare il suo “Nai-No”.

Indimenticabili i suoi  “Hanno ucciso il bar Ragno”, “Le puoi leggere anche in tram” e “ A biliardino non gioca più nessuno. Al cinema aveva recitato come attore nel film di Enrico Pitzianti “Tutto Torna”. Nell’ultimo incontro ad Elmas mostrava già i segni della malattia di cui soffriva da tempo, ma la sua ironia, il suo divertente e bonario sarcasmo, il suo ragionare di calcio, dunque una certa intelligente leggerezza, erano intatti.

Tonino Sitzia

(A nome di tutto il Direttivo di Equilibri, Circolo dei Lettori di Elmas)

26 marzo 2023

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1 commento

  1. Tra i libri, di Nino Nonnis, presentati con “Equilibri”, anche “La vita altrove”.
    Ritrovo degli appunti, frammenti, che segnano i temi, gli argomenti che Nino Nonnis tratta con ironia, e con quel suo atteggiamento di voluta noncuranza e naturalezza proprio di chi è sicuro e sa di ciò di cui parla. In una parola, con il dono della sprezzatura.
    Eccone una sintesi (tra virgolette le frasi tratte da “La vita altrove”)
    “Il mio paese era come io lo percepivo, era quello che io vi cercavo, con gli occhi velati della memoria. Non sono mai stato un suo abitante di tutte le stagioni. Quando vi ritorno sono un turista dell’anima”.
    Ecco il tema della nostalgia (il desiderio del ritorno, e il dolore per la lontananza). La malinconia del migrante (o dell’esiliato); la delusione di chi ritorna perché non ritrova il tempo trascorso, e il paese è cambiato (lui stesso è cambiato).
    Nello spazio si può andare da un luogo A a un luogo B e viceversa, nel tempo no! Il tempo è irreversibile.
    Ma N.N. Non s’illude: sa che può guardare con gli occhi della memoria.
    Nel libro si fa cenno alle radici, all’orgoglio d’appartenenza…
    Mi son chiesto, non sarà questo orgoglio sintomo di chiusura identitaria; di chiusura che respinge, che esclude, che si contrappone? Ma l’autore non corre questo pericolo: ha ironia, sa cogliere i mutamenti, il divenire d’una identità che si confronta e si predispone allo scambio.
    ”Lasciava orme di scarpe eleganti” (nella passeggiata alla vigna che aveva lasciata sepolta nel tempo). Ecco il segno della dinamica del tempo, il deposito del tempo, le orme nuove. I segni nuovi succeduti a quelli vecchi.
    L’impossibilità di ritrovare il tempo passato porta nostalgia e malinconia, ma lo scrittore manipola il tempo della narrazione tornando con i suoi ‘flashbak’.
    C’è l’identità ( tutta chiusa e contrariata per l’emigrazione dei figli) della vecchia Maddalena: “il Venezuela è un immondezzaio”, e c’è quella del figlio prete colto, intelligente, che conosce più lingue, aperta al confronto, allo scambio, curiosa degli altri.
    “Diceva che aveva tre anime: sarda, italiana, spagnola. Era come se avesse tre caratteri differenti, che ognuna di queste lingue gli dava. Solo che erano vasi comunicanti”. Così sintetizzava sull’identità, con una metafora acquorea, liquida a controbilanciare quella arborea e vegetale delle radici.
    “L’identità è un artificio della memoria. Un orgoglio che sfiora sempre l’ostentazione”
    Percorre tutto il libro, un’ironia sottile che s’intreccia con una vena di malinconia.
    Nelle ultime pagine si accenna al lavoro, alla fatica che la scrittura richiede: “Gustave Flaubert, era uno che correggeva e limava in maniera estenuante i propri lavori. E non aveva un portatile dove apportare le revisioni senza pasticciare un foglio”.

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