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Hanna non chiude mai gli occhi, Luigi Ballerini, Ed. San Paolo 2015 (letture per il Giorno della Memoria)

A Salonicco, oggi la seconda città della Grecia, nel 1940 risiedevano più di 55.000 ebrei in gran parte sefarditi, quasi la metà della popolazione della città, lontani figli della diaspora ebraica che fece seguito alla loro espulsione nel 1492 dalla Spagna dei cattolicissimi Ferdinando II d’Aragona e Isabella di Castiglia.
L’antica Tessalonica era stata fondata intorno al 315 a.c da Cassandro, il re macedone che le diede il nome di sua moglie, sorella di Alessandro Magno. Nel corso dei secoli gli Ebrei si erano radicati a Salonicco, convivendo e integrandosi pacificamente con la comunità greca, e contribuendo con la propria laboriosità a far prosperare la città. Gli Ebrei di Salonicco eccellevano nell’artigianato, nei commerci, e nella cultura. Alla fine dell’800, sotto gli Ottomani, quando la comunità ebraica superava le 80.000 persone, la metà dei 70 giornali che venivano pubblicati in città, erano in ladino, la lingua dei padri di matrice giudaico spagnola. Salonicco era uno dei poli culturali d’Europa per gli studi ebraici.
Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, della numerosa comunità ebraica, della “Gerusalemme dei Balcani”, della “Madre d’Israele”, non restavano che 2000 persone: la furia nazista, dal 1943 al 1945, ne aveva ridotto la popolazione dal 50% del totale allo 2,5%.
hannaLa tragedia degli Ebrei di Salonicco viene raccontata nel romanzo di Luigi Ballerini “Hanna non chiude mai gli occhi” (Ed. San Paolo, 2015), attraverso gli occhi e i sentimenti dei due adolescenti protagonisti, Hanna e Yosef che all’improvviso, nel febbraio del ’43, si trovano costretti a convivere nella casa di Hanna, dopo la chiusura del loro quartiere Kalamaria, trasformato in ghetto dalle autorità tedesche. Nel ghetto, uno dei tre di Salonicco, vennero trasferite intere famiglie ebree da atre parti della città. Era giocoforza che famiglie ospitassero altre famiglie.
I due ragazzi, entrambi quindicenni, fino ad allora non si conoscevano, sebbene nella stessa via c’erano le scuole che essi frequentavano, l’una, quella di Hanna, era una delle sei scuole italiane della città, l’altra, quella di Yosef, era una scuola ebraica. Gli ebrei italiani di Salonicco (fonte Michele Sarfatti), che all’inizio del XX° secolo erano circa il 5% della popolazione ebraica della città (dalle 3000 alle 3500 persone), dopo la guerra italo-turca del 1911-1912, dopo il vasto incendio del quartiere ebraico nel 1917, e dopo alla guerra italo-greca del 1940-1941, si erano ridotti del 90%. Le loro scuole erano aperte a tutti, italiani e non, e ad Hanna, che non era di origine italiana, come a molti suoi compagni, piaceva quella lingua perché aveva dei suoni dolci che sembravano musica.
Da quella convivenza forzata, dovuta al restringersi degli spazi fisici, di movimento e di libero pensiero, nasce e si sviluppa l’amicizia e un primo sentimento d’amore tra i due protagonisti: l’amicizia, la solidarietà e l’amore come antidoto all’odio razziale. I sogni e le speranze dei due ragazzi , il mare e i viaggi per lei, la bicicletta per lui, si alternano all’incubo e alla tragedia che si svolge sotto i loro occhi e che sono scanditi, nel romanzo, dalle date, in un crescendo inesorabile fino al buco nero di Auschwitz: 20 febbraio 1943, 23, 24, 25, poi aprile, maggio…fino all’epilogo, 14 luglio 1943.
Nel romanzo si innesta, in una sorta di storia parallela, la vicenda, storicamente documentata del console italiano a Salonicco Guelfo Zamboni, dell’interprete Lucillo Merci che lo aiuta nei rapporti con i tedeschi, e
della sua segretaria signora Carolina.
Zamboni, con una condotta animata da profondi principi umanitari, non solo riuscì a salvare gli oltre 300 ebrei italiani che erano sotto la sua giurisdizione, ma salvò la vita a centotredici ebrei “non italiani”, concedendo loro “certificati di nazionalità provvisoria”, sulla base di un concetto condiviso dai suoi collaboratori, vale a dire che nel concedere i certificati ai richiedenti bisognasse “largheggiare…anzi largheggiare molto”. Il loro destino sarebbe stato uguale a quello delle 48.533 ebrei di Salonicco che dal marzo all’agosto del ’43, in dodici convogli successivi, arrivarono al campo di sterminio di Auschwitz-Birkenau. Di essi sopravvissero meno di 1000.
Il romanzo di Luigi Ballerini, medico e psicanalista che da anni scrive narrativa per ragazzi, è frutto di una accurata ricerca storica. La storia di Hanna e Yosef è liberamente tratta da quella di due ragazzi realmente esistiti, Ester Saporta e Alberto Modiano, entrambi frequentanti la scuola italiana “Umberto I” di Salonicco e i cui temi sono stati ritrovati negli scantinati dell’Istituto Italiano di Cultura, dove negli anni ’40 avevano sede le scuole medie e le superiori. Ester fu uccisa ad Auschwitz con la madre, Alberto si salvò fuggendo in Svizzera con la sua famiglia.

Recensione di Tonino Sitzia
Gennaio 2015

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