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Rachel Polonsky “La lanterna magica di Molotov”, Adelphi 2014

Rachel Polonsky sostiene che “guardare a ritroso nel passato è come assistere allo spettacolo di una lanterna magica” e richiama una definizione di memoria di Anna Achmatova “la memoria è strutturata a guisa di proiettore, illumina singoli momenti lasciando tutt’intorno un’oscurità invincibile’.
La lanterna magica, agli albori del cinema, proiettava sul muro immagini che facevano volare l’immaginazione. Ad ogni giro di manovella il buio separava le immagini. Così i grandi libri e i luoghi che essi richiamano consentono di viaggiare nello spazio e nel tempo, dilatati dalle pause, dai capitoli, dalla selezione e dal filtro che gli scrittori utilizzano e che ciascun lettore opera.
Nel caso del bellissimo libro della Polonsky, il moltiplicatore spazio temporale è il vicolo Romanov nei pressi della grandiosa Biblioteca Lenin e dell’ospedale del Cremlino, a pochi passi dalla Piazza Rossa, nel cuore di Mosca.
Nella facciata al numero 3 di quel vicolo si possono leggere le targhe commemorative dei tanti protagonisti della storia della Russia del XX secolo, di quelli che costituivano la nomenklatura del potere sovietico, ma si evocano anche i nomi e le vicende di quelli che, nei terribili anni delle lotte intestine all’ombra di Stalin, negli anni delle purghe e dei gulag, non hanno una targa ma da qui sono comunque passati o vi hanno vissuto, alcuni sopravvissuti, altri stritolati nei decenni dalla macchina della storia, dagli omicidi di stato, dalle disgrazie oscure. Solo qualche nome: Trockij, Beloborodov, Sokol’nikov, Malenkov, Rokossovskyij, Žukov, Togliatti, Vyšinskij, Tevosjan, Chruščēv, Molotov…I moscoviti chiamano questo luogo “La casa dei generali”, o anche “La casa del Partito” o “Il Mausoleo”.
Proprio al numero 3 del vicolo Romanov, nel 1998, la scrittrice inglese venne ad abitare, seguendo suo marito avvocato, in un appartamento affittatoli da un banchiere americano, con una borsa di studio di diciotto mesi per una tesi sull’orientalismo nella poesia russa.
La Polonsky, che ora è ricercatrice presso il Dipartimento di Slavistica dell’Università di Cambridge, racconta come ben presto “invece del capolavoro accademico che mi ripromettevo di scrivere, è venuto fuori questo libro, che narra le mie avventure in quel groviglio di storie passate create da luoghi e libri”. Così i diciotto mesi diventeranno dieci anni, tanto è il tempo impiegato per portare a termine “La lanterna magica di Molotov”.
Il groviglio di libri, di storie e di luoghi le vengono suggeriti dalla fortunosa circostanza che l’appartamento proprio un piano sopra il suo era appartenuto a Vjačeslav Michajlovič Skrjabin, nome di battaglia Molotov, e che il banchiere americano gli prestò la chiave per frugare tra le pile di libri accatastati e appartenuti a quello che è stato per anni il numero 2 del Cremlino, secondo solo a Stalin. Quando Rachel Polonsky entrò per la prima volta nell’appartamento, nella penombra venne colpita dall’arredamento retrò, da una lanterna magica, e dai libri.
Molotov, che era un bibliofilo incallito, e un lettore acuto, approfittò del fatto che “Uno dei maggiori privilegi di cui godevano gli uomini di Stalin era la possibilità di possedere una biblioteca privata…gli editori erano tenuti per legge a inviare loro un esemplare omaggio di tutti i volumi freschi di stampa”. Nel plenum del Comitato Centrale del PCUS del 1957, a seguito della sconfitta di Molotov e dei suoi compagni stalinisti da parte di Chruščēv, il suo enorme patrimonio librario venne sequestrato, si parla di 57 casse di libri, depositato nei sotterranei del Ministero degli Esteri, e poi andati definitivamente perduti a seguito di un allagamento degli stessi. I libri rimasti nell’appartamento al numero 3 del vicolo Romanov dovevano certamente essere quelli a cui Molotov teneva maggiormente.
Il bibliofilo Molotov, che usava segnare e appuntare i libri con un inchiostro violetto, tra l’estate del 1937 e l’inverno del 1938 aveva firmato gli elenchi con la condanna a morte di 43.569 intellettuali e compagni di partito, alcuni dei quali gli avevano regalato i propri libri con tanto di dedica.
Di questi personaggi, e dei classici della letteratura russa che essi richiamano, la Polonski segue le tracce, visita i luoghi dove hanno vissuto o sono sepolti, nell’immenso spazio geografico della Russia: Mourmansk, Archange’lsk, Staraja Russa in cui Dostoevsky soggiornò per scrivere la fine dei Karamazov, Rostov sul Don e l’epopea dei Cosacchi evocata da Isaak Babel ne “L’armata a cavallo”, Zvenigorod, Taganrog, città natale di Čechov, lo scrittore più amato da Molotov, la Kolyma di Varlam Salamov, Aršan e Irkutsk, e poi il ricordo e i versi dei quattro grandi poeti vittime dello stalinismo: Anna Achmatova, Osip Mandel’štam, Marina Cvetaeva, Boris Pasternak.
Gli orrori della Storia riscattati dalla Poesia e dalla Letteratura. Sarà questo il messaggio sotteso alla lettura de “La lanterna magica di Molotov”?

Recensione di Tonino Sitzia
Maggio 2015

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