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2 Dicembre 2024
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Dialogo tra un poeta e la sua poesia

La poesia – Sono la tua poesia, sei disposto ad ascoltarmi? Ho alcune cose da dirti.
Il poeta – Oh, Questa è bella! Sono io che ti scrivo e tu all’improvviso mi parli come persona che, autonoma, prende l’iniziativa.
La poesia – Illuso che sei: Intanto tu devi imparare a dialogare con me e non devi mai servirti di me per fini che non siano la mia stessa essenza.
Il poeta – Devi, non devi…Ma guarda un po’ tu: Ora mi dai pure disposizioni, avanzi divieti…
La poesia – Hai proprio la testa dura. E ricorda non sei tu che scrivi me, ma io che scrivo te; che lascio su di te il mio segno. Ed io che decido se mettermi al servizio d’una idea, d’una causa, ma sempre nella pienezza del mio essere poesia.
Il poeta – Beh! Sentiamo un po’ che cosa altro hai da dirmi.
La poesia – Sì, circa l’ascolto che dovrai dedicarmi: Esso deve essere intenso, senza la menoma distrazione, al massimo grado.
Il poeta – Voglio ben sperare che si tratti di un dialogo.
La poesia – Un dialogo, certo, ma tu dovrai essere sommesso, perchè guai al poeta che interloquiendo con la sua poesia, tende ad imporre il suo punto di vista con supponenza, con sufficienza.
Il poeta – Va bene, va bene, ma un po’ di rispetto anche per me, però… Comunque continua pure, il tuo discorso mi pare interessante.
La poesia – Così va meglio. Qualche volta il poeta si inganna: Crede gli stia parlando la sua poesia, mentre lei è invece immersa nel silenzio.
Il poeta – Un vero e propio guaio. Ma dimmi, allora, quale è il rimedio.
La poesia – Accostati a questo silenzio, rispettoso; guardaci dentro, porgi l’orecchio, aspetta, non essere impaziente.
Come qualcuno ha detto, “la poesia bisogna saperla aspettare: guardare il mondo, attraversarlo, e aspettare. Aspettare cosa? La necessità…”
Sentirne il pulsare fino alla necessità assoluta di rivelarla questa poesia…
Il poeta – Ma allora da dove viene quella che può sembrare la tua voce? Non sarà come la voce dei Ginni che tentavano di ingannare Maometto, sussurrandogli all’orecchio sinistro, nella solitudine del deserto?
La poesia – Ti dico solo: Abbi pazienza, ascolta, discerni.
Piuttosto sappi che a volte la poesia si presenta nuova, diversa.
Il poeta – Quante difficoltà, quanti intrichi, quanti dubbi!
Poesia – Già. Comunque il tuo scrivere non sia affrettato; attento che sia io a dettarlo; attento alla mie esigenze. Capirai che le parole si logorano in fretta. Devi poi sapere che detesto i vezzi, le mode, gli stereotipi; non sopporto la sciatteria, l’ineleganza, il pressapochismo. L’ingenuità, invece, a volte mi sorprende e le sorrido.

Il poeta – Cercherò di tenerlo a mente.
La poesia – Ma sopratutto, benché sia faticoso, non mi distolgo mai dal praticare la verità. E questo è il comandamento principe.
Il poeta – Tutte cose che avevo già intuito e che tu ora mi vai spiegando…
La poesia – Infatti, ma lasciami continuare.
Al poeta tanto sincero e amico disinteressato, la poesia consente anche la rima più banale come fiore/amore, che Umberto Saba, il poeta dalle parole trite, riteneva la più difficile del mondo.
Il poeta – Interessante, curioso, ma non ti interromperò più. Continua pure.
La poesia – Bene. Devi sapere che la tecnica non prenderà il sopravvento, però il poeta deve esserne padrone. E quando dico tecnica non intendo soltanto quanto codificato dalla tradizione -Ritmo, accenti, numero di sillabe dei versi, rime, strofe…Ma la tecnica (non scritta, non prescritta) del così detto ‘verso libero’: Assonanze, alliterazioni, rime interne, ritmi spezzati secondo nuove urgenze. Mi segui?
Il poeta – Ci provo.
La poesia – Però devi anche sapere che la scelta d’una disciplina metrica con i suoi schemi, i suoi ostacoli, può essere gradita alla poesia e determinarne la sua stessa riuscita. Accolgo di buon grado il lavorio di riscrittura, ma con misura perchè non si cada in una mania.
Il poeta – Qualche volta, riconosco, ho corso questo rischio.
La poesia – Meglio, comunque, correrlo che buttar giù versi definitivi come presi da chissà quale ‘ispirazione’.
Il poeta – Ne terrò conto.
La poesia – E non essere petulante né sguaiato nel chiamarmi: Sai che non sortisco a comando e divengo pure permalosa; arriverò quando meno te l’aspetti.
Il poeta – Farò in modo d’avere con me sempre una penna e un taccuino.
La poesia – Un’ultima cosa: Sii prudente nel giudizio sulle altre poesie; non ti sembri io la più bella che a te appare e ti parla. Non è questione da concorso di bellezza -E che cosa è poi la bellezza?
Dunque fai la conoscenza e rispetta le mie ‘colleghe’. Tutt’al più ti è concesso un po’ di bonaria ironia. Niente boria, niente alterigia.
E leggi, leggi la tanta poesia che è stata scritta. Apriti ad essa, assorbila.

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