7 Maggio 2024
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“L’oro e la patria – Storia di Niccolò Introna, eroe dimenticato” di Federico Fubini (Mondadori, 2024)

Nella quarta di copertina dell’interessantissimo libro di Federico Fubini si legge: “Il 20 settembre 1943 alle quindici e trenta un manipolo di ufficiali nazisti varca la soglia di palazzo Koch, elegante sede della Banca d’Italia. Fra loro c’è il tenente colonnello delle SS. Herbert Kappler, comandante dello spionaggio hitleriano. I tedeschi presentano le loro richieste al governatore Vincenzo Azzolini: vogliono l’oro della Banca d’Italia, tutto l’oro. In quel momento, nei suoi caveau, l’istituto di via Nazionale ne custodisce quasi 120 tonnellate. Un solo uomo, all’interno della banca centrale, decide di opporsi e organizza un sofisticato inganno per impedire ai nazisti di trafugare la ricchezza degli italiani. Si chiama Niccolò Introna (Bari, 13 maggio 1868 – Roma, 10 maggio 1955), è un dirigente di settantacinque anni, un fervente valdese che tiene sermoni alle comunità di fedeli nei giorni di festa. Durante il fascismo, Introna aveva combattuto in segreto la corruzione e il sistema cleptocratico attorno a Mussolini, documentando le operazioni del duce per trafugare il denaro pubblico”

Nella temperie della guerra, nel caos dopo l’8 settembre, i tedeschi cercano di impadronirsi delle riserve auree dell’Italia, come fanno in tutti i paesi da loro occupati. Per loro è normale bottino di guerra, utile ad alimentare lo sforzo bellico sui vari fronti. Fubini, vicedirettore ed editorialista economico del Corriere della Sera, racconta di aver sentito per la prima volta il nome di Niccolò Introna in un convegno di economia, e per molti di noi, come per lui, quel nome non dice nulla: dimenticato, rimosso, quasi un signor nessuno, come tanti che, invece, in momenti così complicati, non fecero gesti eroici, ma normali, assumendosi le responsabilità che il loro ruolo richiedeva. Eppure Introna non era un uomo qualunque.  

Diventato vicedirettore generale della Banca d’Italia quando era governatore Bonaldo Stringher (3 luglio1928 – 24 dicembre 1930) e poi vice di Vincenzo Azzolini  (10 gennaio 1931 – 4 giugno 1944), non divenne mai governatore, come meritava, proprio per la sua integerrima coerenza. Inviso al fascismo per la sua rettitudine, era stato il primo capo ispettore della vigilanza della Banca d’Italia, si era reso conto della corruzione del regime e cercava di limitare, per quanto gli era possibile e nella segretezza,  le ruberie e i soprusi. Le sue ispezioni, negli istituti bancari oggetto delle ruberie dei gerarchi e del duce erano temute, e , a dimostrazione di quanto fosse inviso, nel giornale “L’Impero”, controllato da Bottai, viene apertamente accusato di “partigianeria antifascista, sadismo ispettivo e fanatismo religioso-settario”.

Niccolò introna, per diretta esperienza, mette mano al sistema cleptocratico messo in piedi da Mussolini, dai suoi fedelissimi, e dal regime. Il termine ‘cleptocrazia’, si legge nella Treccani: “Derivante dall’unione delle parole greche klépto, rubare, e krátos, governo, indica la gestione del potere politico da parte di un’élite di governo avente quale obiettivo prioritario il furto e la spoliazione sistematica di risorse ai danni della popolazione amministrata”. Dunque viene smascherata la retorica del “Dio, patria e famiglia”, cara al fascismo, perché ciò che conta è la famiglia e l’appartenenza alla élite al potere, a danno proprio della patria. Emblematica la ricostruzione meticolosa che fa Fubini della disinvoltura, evidentemente consueta, con cui, dopo l’8 settembre, Mussolini scrive al Governatore della Banca d’Italia, con l’ordine di trasferire fondi della presidenza del Consiglio, sul conto corrente 846 intestato al figlio Vittorio, presso la filiale della Banca d’Italia di Verona, per una cifra di circa 5 milioni di lire. Vittorio poi ne farà buon uso quando, dopo la disfatta del 1945 e dopo la Liberazione, si rifugerà prima in convento e poi in Argentina. Introna aderirà al Partito nazionale fascista solo nel 1939, all’età di 71 anni. Era inviso eppure ne avevano bisogno: solo lui conosceva perfettamente la macchina complessa della Banca d’Italia, e il regime non poteva disfarsene.

Fubini ricostruisce la biografia di Introna grazie al contatto con Massimo Corradini, nipote di Introna “Un architetto fiorentino in pensione che ha donato le carte di suo nonno all’Archivio nazionale della Banca d’Italia. Si tratta di settantasette volumi di circa mille pagine l’uno, che ora sono digitate…” (pag.27) Introna non buttava via niente e in quelle 80.000 pagine (Il cosiddetto Archivio Introna) c’è molto della storia d’Italia di quel periodo terribile.

Il 19 settembre 1943 il governatore Vincenzo Azzolini venne informato che il giorno dopo una delegazione tedesca si sarebbe presentata a Palazzo Koch per il trasferimento della riserva aurea italiana in Germania. Fu Introna a suggerire al governatore di murare una parte dell’oro (circa 50 tonnellate) in una intercapedine di 90 cm e 8 m di profondità situata tra il muro esterno ed interno di Palazzo Koch. Cosa che venne fatta quella notte: “Per far sì che la muratura si asciugasse ,rapidamente, delle stufe elettriche e dei ventilatori vennero portati e accesi tutta la notte, per ore” (Fubini, pag.38).  Azzolini, che dapprima acconsentì alla operazione, è chiuso nel suo ufficio per tutta la notte e l’indomani fa smurare tutto, perché a suo avviso, i tedeschi avrebbero facilmente scoperto il nascondiglio. 

Le 120 tonnellate di oro, e 543 sacche di monete, pressoché l’intera riserva aurea dell’Italia finì prima a Milano, poi a Fortezza, e infine a Berlino. Solo a fine guerra, circa i due terzi vennero recuperati. Il comportamento debole e opaco del Governatore, debole e a tratti prono al regime e ai voleri dei tedeschi dopo l’8 settembre, portò ad un processo a suo carico. L’alta Corte di Giustizia per i delitti contro lo Stato, creata nel 1944 per l’epurazione dei gerarchi fascisti, estendeva le condanne, anche gravi, anche a chi avesse in qualche modo assecondato o favorito i tedeschi dopo l’8 settembre.

L’ Alto Commissario per i delitti del fascismo era Mario Berlinguer, padre di Enrico, futuro segretario del P.C.I, che era intenzionato a chiedere per Azzolini, che era stato arrestato il 1 agosto e condotto a Regina Coeli, la pena di morte.Al processo Azzolini Introna, che viene convocato dall’Alta Corte, e che in quel momento era Commissario Straordinario della Banca d’Italia nelle zone liberate, nomina la Banca d’Italia parte lesa, ma nel suo memorandum, che si contrappone a quello di Azzolini, concede all’imputato alcune attenuanti, come le pressioni tedesche o le eventuali rappresaglie che avrebbero peggiorato le cose in quel periodo storico, che ne evitano la pena capitale. Sarà condannato a 30 anni e poi assolto in Cassazione. Introna antepone ancora una volta il senso delle istituzioni ad ogni rivalsa di tipo personale.

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1 commento

  1. Grazie Tonino per averci fatto conoscere l’incredibile storia di questo alto funzionario della Banca d’Italia che ha sempre lavorato onestamente e ha messo in pericolo la propria vita per salvare l’Italia e, quindi, gli Italiani.
    Perché nessuno, fino ad oggi, ha ricordato questa drammatica vicenda?
    Perché Niccolò Introna é rimasto sconosciuto per ottant’anni?

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