Free Porn
xbporn

12 Dicembre 2024
No menu items!
HomePrimo PianoGilles Clément “Manifesto del Terzo Paesaggio”

Gilles Clément “Manifesto del Terzo Paesaggio”

Qualche settimana fa, il 23/02/2024, nella trasmissione “Geo – La strada delle donne” è stata intervistata Daniela Ducato, miglior innovatrice europea e italiana nel settore dell’ecosostenibilità, Cavaliere della Repubblica Italiana per meriti ambientali, che da anni opera e lavora a Guspini. È in questa occasione che ho sentito parlare del Manifesto del Terzo Paesaggio, un libro pubblicato in Francia nel 2004, e poi ripubblicato in diverse lingue, e in Italia nel 2014. 

Che cosa è il Terzo Stato? Chi non ricorda il famoso pamphlet dell’abate Sieyés che divenne il simbolo e la parola d’ordine della borghesia francese contro i privilegi della nobiltà e del clero, contro l’assolutismo regio? Pubblicato anonimo nel 1789, sarà alla base della Rivoluzione Francese.

Che cosa è il Terzo Stato?  si chiedeva Emmanuel – Joseph Sieyés

-Tutto

-Cosa ha fatto finora?

-Niente

-Cosa aspira a diventare?

– Qualcosa

All’inizio del suo libro Gilles Clément, ingegnere agronomo, botanico, paesaggista, entomologo e scrittore francese, utilizza il pamphlet di Sieyés per chiedersi, e per chiederci, “Che cos’è il terzo paesaggio?”

Non è il costruito, non è l’urbanizzato, non è il coltivato, non è inserito in nessun PUC, non è la mummificazione a parco di un’area, non è incastonato in una “destinazione d’uso”, sempre ad uso dell’uomo ovviamente, sembrerebbe di per sé il nulla, è un luogo, che l’autore definisce” indeciso”. Definisce l’insieme degli spazi abbandonati, che sono i principali territori di accoglienza della diversità biologica. Comprende il territorio residuo, sia rurale che urbano, e l’incolto: i cigli delle strade e dei campi, i margini delle aree industriali e le riserve naturali. È lo spazio dell’indecisione, e gli esseri viventi che lo occupano agiscono in libertà. Considerare il terzo paesaggio una necessità biologica, che condiziona il futuro degli esseri viventi, modifica la lettura del territorio e valorizza luoghi abitualmente trascurati.”

Nel primo capitolo, intitolato “Definizioni”, vengono individui quei luoghi che possono rientrare nel terzo paesaggio:

– “residuo” è un luogo abbandonato ma precedentemente sfruttato.

– “riserva” è un luogo che non è possibile sfruttare per difficoltà d’accesso o perché il suo sfruttamento è impossibile/troppo costoso.

– “insiemi primari” sono luoghi mai sottoposti a sfruttamento (prati alpini, tundre…)

– “diversità” fa riferimento al numero di specie viventi distinte.

I bordi stradali possono considerarsi dei luoghi residui, fanno parte del complesso articolarsi del terzo paesaggio: riempiono gli occhi dei loro colori, e vi svolazzano insetti e uccelletti. Ovviamente non sono “sacri”: dovrebbero essere “curati” e rispettati, e non azzerati dalle pubbliche amministrazioni, perché anch’essi sono tesori di biodiversità.

Il terzo settore, sostiene Clement è “Frammento indeciso del giardino planetario” (Ė suo un libro che si intitola “Il giardiniere planetario”). Questi frammenti marginali, fuori da ogni logica di utilità per l’uomo, hanno diritto di essere considerati “qualcosa”, come il terzo stato nell’opera del Sieyés. Sono spazi che devono essere riconsiderati nella nostra visione del paesaggio, ed anche nella programmazione urbanistica, per il loro ruolo nella biodiversità, e motore dell’evoluzione che garantirà la sopravvivenza di tutti gli esseri, compresi gli umani.

Questi spazi, solo apparentemente reietti, assomigliano alla poesia, inutile ma necessaria, come il fiore del deserto, la Ginestra di Leopardi, che, metafora della poesia, con i suoi colori allieta le lande vulcaniche.

Articolo precedenteTre haiku per l’otto marzo
Articolo successivoPresso le rovine di Bithia
Articoli correlati

3 Commenti

  1. Dopo aver letto la recensione e i commenti al “Manifesto del terzo paesaggio”, e ora mentre leggo il libro di Gilles Clément, solo ora capisco perché quei fiorellini in mezzo a tant’altre erbe fermavano il mio sguardo e i miei passi là tra il verde spontaneo e alcuni cantieri edili.
    Tuttavia il cuore del loro enigma permane restando ben custodito dentro il loro intenso colore.
    Ah! questi fiorellini violazzurri
    desolati e straniti e così belli
    nell’altrove di terzo paesaggio.

  2. Grazie Anna e Tonino per avere recensito questo libro in modo cosi esaustivo, tanto che c’è poco da aggiungere…. Il libro ha una struttura molto articolata per punti, ma al fondo è riconducibile ad alcuni concetti essenziali che vorremmo sempre mettere in evidenza.
    Dopo averlo letto, durante ogni uscita, mentre cammino vedo ‘il terzo paesaggio ‘ dappertutto: in piccoli appezzamenti incolti, anche dentro il paese, ai lati delle strade e dei marciapiedi, e mi dispiace calpestare queste piccole vite che tanto si affannano a emergere ovunque!

  3. Garantire la Biodiversità vuol dire rispettare i “margini” (i Browenfiweld anglossasoni), le zone periurbane e gli spazi verdi urbani, così da coniugare tutela ambientale e sostenibilità.
    Come? Il messaggio di G. Clèment è chiaro, occorre cambiare il nostro punto di vista.
    Un esempio: le piante spontanee, quelle che comunemente chiamiamo “erbacee”, termine che sta ad indicare lo scarso valore che spesso gli umani le attribuiscono: invasive, infestanti, tossiche, parassite..piante che crescono nel posto sbagliato.
    A volte apprezziamo i fiori selvatici per la loro bellezza e per i profumi (sono piante erbacee), ma ignoriamo le loro funzioni ecologiche. Sono le piante selvatiche che tengono il suolo, lo colonizzano e lo preparano per accogliere alberi e arbusti, sono loro il primo anello di un ecosistema, molte di loro che potrebbero impedire la disgregazione delle aree danneggiate del pianeta.
    Prestare attenzione alla cura della Biodiversità nell’urbano e periurbano non comporta rinuncia della bellezza e offre grandi vantaggi per tutti: meno spreco d’acqua e meno manutenzione.
    Prima di tutto, come dice lo stesso ISPRA, bisognerebbe che le amministrazioni consapevoli, lo dimostrino ai cittadini con esempi virtuosi e concreti. Fare divulgazione scientifica affinché gli interventi di “rinaturalizzazione” vengano compresi come interventi di “riqualificazione” di “valorizzazione” perché i benefici che si ottengono valgono per tutti gli esseri viventi, ora e nel futuro.

    https://www.isprambiente.gov.it/files/pubblicazioni/manuali-

Rispondi

Please enter your comment!
Scrivi il tuo nome e cognome

TAG

I più letti