29 Aprile 2024
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Un libro per ricordare Maria Piera Mossa

È stato presentato a Cagliari, il 26 settembre scorso, presso la sala conferenze della Fondazione di Sardegna, il libro dedicato a Maria Piera Mossa. Il sottotitolo recita “La prima regista sarda tra cinema, radio, tv, amicizie, affetti, lavoro” a cura di Pietro Clemente, Jacopo Onnis, Peppetto Pilleri.

Trenta testimonianze di quanti l’hanno conosciuta e con i quali ha lavorato: ricordi, momenti di vita pubblica e privata, il lavoro in radio, nella 3^ Rete Rai e nelle discussioni per definirne il ruolo, il cinema, ricostruiscono la vita, troppo breve, di Maria Piera Mossa, e gli aspetti affettivi si uniscono a quelli del suo eccezionale lavoro di documentazione per immagini, di vita, di lavoro, attraverso personaggi ed eventi che hanno segnato la storia della Sardegna.

Così è facile ripercorrerne le opere facendoci aiutare da quanto lei stessa scrive in una sorta di lettera autobiografica pubblicata nel libro e scorrendo il catalogo della Rai e di Sardegna Digital Library in cui si possono rivedere  ”Una fabbrica inventata su un paese reale: Bitti”  (da rete TV3 a Radio/Sardegna  Filmato tv. 30’ – 1980), per la rubrica quindicinale Città-Regione, sulla vita delle operaie tessili di Bitti che perdevano il loro posto di lavoro in seguito alla chiusura della fabbrica tessile Bétatex;  le 18 puntate di 30’ (1986)  di “Visti da fuori”, realizzate in collaborazione con Jacopo Onnis: incontri, corredati da filmati con importanti uomini della cultura e dell’arte sarda, quali  Michelangelo Pira, Salvatore Satta, Giuseppe Dessì, Francesco Ciusa, Antonio Pigliaru, Franco Solinas, Mario Sironi per citarne alcuni, con i temi della questione sarda, sempre attuale, vista da fuori; o ancora le puntate dedicate a Grazia Deledda (“Grazia, quasi Cosima”- 1987); oppure lo struggente ed eccezionale “Il 43 con Sant’ Efisio” (1988), con lo storico filmato di 3’ girato da Marino Cao il I maggio, che riprende il Santo solitario tra le macerie, e con le testimonianze di chi ha vissuto quei giorni drammatici.   

Da citare ancora “La Sardegna nella Storia”, su progetto di Francesco Cesare  Casula: un primo importante tentativo di ripercorrere, in 18 puntate di 30’ (1992) la complessa e a volte contradditoria Storia della Sardegna. Jacopo Onnis, nella sua testimonianza /ricordo sottolinea la sintonia nei valori, i tratti umani e professionali di Maria Piera Mossa.

Femminista nei fatti, comunista aperta al dialogo ma ferma nei principi e negli ideali, è stata la prima regista sarda, aprendo la strada a tante altre donne che poi si sarebbero affermate nel campo, troppo maschile, degli audiovisivi in Sardegna e nel mondo.

Personalmente ho ricordi vivissimi di Maria Piera Mossa. La vedevo accompagnare Peppetto Pilleri, suo compagno e poi marito, che avevo conosciuto nelle giovanili del Cagliari, e con cui avrei poi giocato più volte, nella squadra della facoltà di Lettere, nel Decimoputzu in Promozione regionale, e mi stupiva, condizionato dal pregiudizio di genere, la sua conoscenza profonda del calcio, il suo discutere alla pari di tattiche e moduli, con competenza, passione e ironia.  

Ma il ricordo più vivo, e anche più proficuo dal punto di vista umano e professionale è legato alla frequentazione della sede dell’Umanitaria, che aveva la sua sede in via Molise. Con Fabio Masala, Peppetto Pilleri, Maria Piera Mossa, Salvatore Pinna, Anna e Franco Caruso, Chicco Mura, e tanti altri, si discuteva di cinema e di educazione degli adulti, e a Firenze era sorta la prima cattedra di Educazione degli adulti: Filippo Maria De Santis ne era il titolare e aveva un rapporto particolare con Fabio Masala e con il lavoro che si faceva in Sardegna.

Erano nati da poco i Circoli del cinema, e l’Umanitaria era diventata anche “Cineteca sarda”: si era tra la metà e la fine degli ’70, c’era un fermento politico e culturale oggi inimmaginabile, si era arrivati alla elaborazione teorica, e poi pratica del concetto di “Pubblico come autore”: operai, contadini, casalinghe, impiegati, pescatori, insegnanti, lavoratori uomini e donne, impiegati, erano in grado, discutendo alla pari, e senza alcuna competenza di tecnica o estetica filmica, di interpretare un film, diventando essi stessi “autori”.

Erano anni di grandi conquiste sindacali e politiche: il 20 maggio 1970, con la legge 300, era stato approvato lo Statuto dei lavoratori. La legge, una dei più avanzate al mondo in materia dei diritti del lavoro, dava piena attuazione alle disposizioni previste dalla Costituzione e rimaste fino ad allora inapplicate.

Nnel 1973/74 erano nate le 150 ore: dapprima la FLM (in due anni 100.000 operai metalmeccanici le frequentarono), e poi le altre categorie, si videro riconosciute, all’interno dei contratti collettivi, 150 ore per il  Diritto allo Studio, permessi retribuiti per frequentare la scuola e migliorare la propria cultura. Nel corso degli anni le 150 ore si estesero alle Università, furono frequentate anche da persone non sindacalizzate, casalinghe, giovani, disoccupati e infine studenti in rotta con la scuola, secondo il principio che la cultura è diritto di tutti e non necessariamente legata alla produttività.

La cultura operaia, le esperienze delle donne, i disagi dei disoccupati entravano nelle aule scolastiche, reclamavano di farsi “cultura”, e gli insegnanti furono chiamati a rispondere, inventandosi una didattica nuova: si può insegnare matematica studiando dal vivo la busta paga, oppure italiano leggendo un giornale o preparando una relazione sindacale. Questa concretezza di contenuti non escludeva lo studio della letteratura, della poesia, delle scienze, delle lingue. Eravamo talmente impreparati che si creò il Collettivo delle 150 ore: volevamo confrontarci per capire come muoverci, e ci riunivamo presso l’Umanitaria, dove Peppetto, Fabio, Piera, ci consigliavano qualche film da proiettare a scuola, e in quella sede venivano a discutere con noi docenti universitari, quali Gianni Licheri (discipline scientifiche), Franco Tronci (Italiano e Letteratura), Gino Melchiorre (Comunicazione e giornalismo), e altri che non ricordo.  

Nell’anno scolastico 1980/81 insegnavo alle 150 ore di Decimoputzu e Maria Piera Mossa stava lavorando ad un documentario su quella esperienza: “Vengo a trovarti Antonello”, mi disse, e così una sera, accompagnata da Ignazio Pani, venne a scuola, parlò con i corsisti e li intervistò: erano in gran parte contadini e contadine che lavoravano nelle carciofaie per cui il paese era famoso. Poi nei giorni successivi si recò nel luogo dove si raccoglievano i carciofi, un lavoro duro e stancante, e poi ancora laddove si producevano i carciofini sott’olio: le donne, perchè erano loro a farlo, vennero intervistate mentre, quasi come in catena di montaggio, li selezionavano da una grande contenitore di acqua bollente, per poi metterli nei barattoli di vetro sterilizzati. Piera si recò poi in altre scuole per completare il suo lavoro che si sarebbe intitolato “Il lavoro dello studio”: titolo bellissimo per dire che scuola e lavoro si devono incrociare, mentre ancora oggi in Italia l’Educazione Permanente è una chimera.

Tonino Sitzia

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