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12 Dicembre 2024
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David Cronenberg “Crimes of the Future” (Francia, Grecia, Canada, Regno Unito – 2022)

Il film si apre con un infanticidio, preceduto da poche immagini. Nella prima, un bambino cerca qualcosa sulla riva di una spiaggia desolata, frugando in mezzo alla sabbia, di fronte al relitto di una nave affondata. La madre, dalla finestra del vicino casolare, gli raccomanda di non mangiare quello che trova. Scopriremo quasi subito che è un divoratore di oggetti di plastica. Lang, il padre, lo troverà disteso sul letto dove la madre lo ha ucciso, soffocandolo con un cuscino.

La deriva dell’umanesimo (e della umanità) è già in atto. L’uomo (donna o bambino) sta uscendo fuori dalla natura, è antinatura. Nessun paesaggio normodotato, il buio e il crepuscolo sono predominanti dentro e fuori, ci sono luoghi indefiniti e contaminati, interni di industrie o di uffici dismessi, con arredi obsoleti e fatiscenti. Le strade deserte hanno le serrande abbassate e nelle abitazioni sembra non esserci nessuno. Ci troviamo in un futuro retrocesso nel passato, dove la tecnologia ha lasciato il segno. E i sopravvissuti celano delle stranezze e forse complottano gli uni contro gli altri. Caprice e Saul Tenser sono un ex chirurgo (lei) e un artista (lui), interessati  alla riproduzione degli organi. Saul (sempre incappucciato in una palandrana scura come un monaco trappista) coltiva dentro di sé un nuovo organo, che la bellissima assistente e complice Caprice monìtora e sorveglia con cura, adoperando strumenti che scrutano le cavità anatomiche. Letti e sedie semoventi come carapaci ed esoscheletri supportano il corpo di Saul nella gestazione, e nella alimentazione di questa sorta di tumore convertito in protofeto. 

Artisti-chirurghi sì loro, ma performativi; per un pubblico di appassionati di body art che (nei party di un teatro anatomico) riprende e registra con varie fotocamere le esibizioni via via proposte, sino all’espianto con bisturi senza anestesia. All’ufficio del registro degli organi, sono avvisati: Timlin la giovane ispettrice capisce, partecipa, sollecita; sarà lei a sussurrare all’orecchio indifferente di Saul “la chirurgia è il nuovo sesso…?!”. I corpi sono alla ribalta: nelle performance c’è chi si fa cucire gli occhi, chi si innesta il busto di orecchi, chi si incide vere ferite sul viso giovane e intonso, chi si sega le caviglie o si fa aprire delle cerniere sopra l’ombelico. Quando nell’incertezza del senso Timlin cerca di baciare Saul, lui si sottrae e lei non lo sa neanche fare.

Vincono gli strumenti: se apri il corpo non trovi la bellezza interiore, se lo chiudi i cinque organi di senso non sanno come funzionare. Il tatto soprattutto è perso. E la vista? Non sono certo le mani e le dita a sfiorare i corpi per sentire la pelle, né gli occhi ad entrare e scavare negli occhi: l’eros è morto. Nessuna di queste immagini di Cronenberg è erotica. Quando Saul e Caprice si distendono assieme nel sarcofago-letto-carapace, restano seminudi in esposizione, adiacenti, non  comunicanti; e così appaiono le due amiche, forse omosessuali, che tra le  lame taglienti e il sangue condividono solo l’esibizione, senza sentimenti.  Intanto nel mondo esterno, claustrofobico, un agente afroamericano indaga sugli scontri tra bande rivali di bianchi che, combattendo per l’evoluzione della specie, uccidono il nemico a colpi di trapano elettrico.

Il figlio di Lang possedeva il primo apparato digerente in grado di assimilare la plastica (anche il suo corpo è stato aperto durante una performance). In giro circolano barrette di cioccolato che solo i mangiatori di plastica possono divorare: sono tutti individui operati allo stomaco e ne portano i segni distintivi. Bisogna essere OGM, geneticamente modificati dalla nascita. Potrà alla fine Saul sperimentare su di sé il nuovo cibo degenerato?

Confrontare Crimes con gli altri film di Cronenberg o con il lungometraggio del 1970 a cui il regista aveva dato lo stesso titolo, è superfluo. Vivono collegamenti tra i suoi film, e alla fine ognuno resta autonomo. Dicono che il film sia concettuale e disturbante. È una rappresentazione teatrale dell’antisentimento. Una anatomia delle assenze con dissezioni anaffettive.

In un mondo post tecnologico di ruderi, macerie e sospetti, immerso in una penombra oleosa, l’uomo non sente più l’altro e, aprendosi dentro, trova un magma insoluto. Cronenberg dipinge la malinconia dell’essere erotico naturale, quello che si esprimeva un tempo scivolando sulle superfici dei sensi.

Al di là della scomparsa di qualsiasi sfumatura erotica, si affaccia un avvertimento per i giovani e i meno giovani: a non perdere le passioni, ad adoperare i corpi (con le menti e tutti gli organi di senso) in funzione delle passioni (naturali).  A non abbandonarli e svenderli, anestetizzati come sono dall’uso indecente delle tecnologie.

                                                                                                                                                           Elisabetta Borghi

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