19 Marzo 2024
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A che punto!

“A che punto siamo?” di Giorgio Agamben (Quodlibet) è una raccolta di interventi, già diversamente pubblicati, sull’emergenza sanitaria. Vi si leggono pagine  dal sapore propagandistico con le quali l’autore denuncia un complotto mondiale.

Ciò con mia sorpresa, avendo di Agamben letto “Creazione e anarchia” e “Il Regno e il Giardino”. Quest’ultimo, nonostante la mia miscredenza, davvero avvincente. Una scrittura densa e piacevole, un argomentare fine e complesso. Per esempio, nei passi dove si tratta della disputa tra S. Agostino e Pelagio circa il ‘peccato originale’, il ‘Paradiso terrestre’ e la ‘Grazia’. L’arrampicarsi sugli specchi di Agostino; lo svelarsi delle ragioni di potere della Chiesa a scapito di quelle teologiche e di fede. Come la Chiesa da strumento per il fine della salvezza, diventa lei stessa il fine, ossia un potere tutto terrestre…

I filosofi, in generale, sono inclini a costringere i fatti dentro loro sistemi di pensiero. Ma si chiedono coloro che nella nostra società hanno la funzione di intellettuali, perché le loro idee non camminano con le grandi masse, con le moltitudini, per cambiare lo stato di cose vigente? È evidente che una qualche responsabilità dovranno pur averla. E intanto il mondo, la terra non godono affatto di buona salute.

Ne “L’invenzione di un’epidemia” – “il manifesto”, 26 febbraio 2020, trovo un uso disinvolto (si direbbe ingenuo se ci fosse buona fede) di numeri e percentuali a sostegno della tesi del complotto.

L’autore crede, riportando pochi numeri, di poter dimostrare il suo teorema. Cita alcune dichiarazioni del CNR: “L’infezione causa sintomi lievi/moderati (una specie di influenza) nell’80 – 90% dei casi. Nel 10 – 15% può svilupparsi una polmonite, il cui decorso è però benigno in assoluta maggioranza. Si calcola che solo il 4% dei pazienti richiede ricovero in terapia intensiva”.

Forse questi dati andavano accolti con una certa cautela. Agamben ricorre ai numeri, cercando di comporre la formuletta che dimostrerebbe il suo teorema.

Intanto quelle percentuali rimandano a stime vaghe; intanto quei numeri si riferiscono al febbraio 2020. E oggi, mentre leggo, siamo al giugno 2021. Se la pandemia non esiste, allora, tutto l’argomentare di Agamben non fa una grinza. Ma appunto egli assume come postulato che la pandemia non esista, non sia mai esistita.

È vero che, come ha dimostrato Zygmunt Bauman, l’Olocausto non si sarebbe potuto realizzare senza la tecnologia raggiunta dalla Germania. Ma sostenere, come fa Agamben, che la nuova tecnologia telematica, guidata da poteri complottanti, stia preparando un nuovo nazismo, mi pare affermazione ‘meccanica’ e deterministica. Per esempio quando paragona i provvedimenti anti epidemia con l’ascesa di Hitler e del nazismo nella Germania del 1933.

Giochetto esperito anche dagli USA per giustificare la guerra contro Saddam Hussein. Così come fu giusta la guerra contro la Germania nazista, lo è quella contro l’Irak di Saddam Hussein, il nuovo Hitler. Espedienti che non reggono a più serie riflessioni.

Su “La medicina come religione” – 2 maggio 2020, alcune brevi considerazioni.

Che i virus siano una presenza costante nella natura e che l’abbiano abitata molto, molto prima degli umani, non credo sia contestabile. Che i virus possano mutare, e che ne possano nascere di nuovi e accompagnare l’uomo lungo la sua storia, è altresì non contestabile. Fa un poco sorridere, quindi, che si parli d’una “guerra civile mondiale” e che ci potranno salvare i filosofi solo loro capaci di sconfiggere questa nuova religione. E fa sorridere che Agamben si veda protagonista nel campo dei filosofi, e incompreso dalle masse truppe inconsapevoli.

“Requiem per gli studenti” (24 maggio 2020) – molto d’accordo nel vedere e sentire il grave pericolo che incombe con le forme nuove che può assumere una dittatura telematica. Così come mi trovo d’accordo con la ‘fotografia’ fatta della realtà universitaria; sull’inquietudine e sulla desolazione indotte dalla moderna telematica. È la risposta che viene data che trovo del tutto inadeguata e velleitaria. Assente la risposta politica: non c’è neppure il tentativo di dar vita ad un movimento. Tutto si riduce ad un appello rivolto a pochi individui. Un mero auspicio, dunque, quell’invito agli “studenti che amano veramente lo studio” a costituire nuove “Universitates”.

 “Poiché le norme giuridiche di una società sono il risultato del conflitto tra le forze sociali per il controllo del potere, nelle società dove il capitalismo è la forza che attualmente prevale sulle altre e dunque – innanzitutto nelle democrazie parlamentari del mondo occidentale – il diritto esprime soprattutto la volontà capitalistica di controllare la società, sia pure temperata dalle norme con cui le altre forze (ad esempio di ispirazione cristiana o democratica) tentano di limitare il suo intento di porre il profitto privato come scopo dell’intera società. Soprattutto nel mondo occidentale il diritto contiene le norme che, appunto, promuovono e tutelano la configurazione capitalistica dell’economia e della società”. Queste parole di Emanuele Severino vanno al nocciolo di concretissime questioni dove si incontrano e si intrecciano diritto, libertà e democrazia.

Ultime considerazioni su libertà e lavoro.

Libertà – parola ambigua e molto amata dalla borghesia industrial-finanziaria, dal neoliberismo per affermare e perpetuare il suo sistema di potere così come si è globalizzato.

In società fortemente diseguali usufruisce e pratica più libertà chi ha più potere. Tra diseguali si impone la libertà del più forte, così il diritto è quello prodotto dalle classi dominanti.

Ecco un paradosso: la schiavitù consentiva una ‘libertà’ economico-mercantile tutelata dalle leggi degli stati retti da democrazie parlamentari, prima dell’abolizione. Ma forme di lavoro schiavile, ancora oggi, permangono anche in Italia. In società di ‘libero mercato’ il lavoro è trattato come una merce e i lavoratori entrano in rapporti di concorrenza tra loro. E nella concorrenza c’è chi emerge e c’è chi soccombe

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