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4 Novembre 2024
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Oblio e memoria

“E’ inutile cianciare di giustizia
Fintanto che la più grande
Fra le navi da guerra
Non si infrange contro la fronte di un annegato.”
Così scriveva Paul Celan forse pensando
ai suoi Cari morti nel campo di sterminio.
Non si sopravvive all’alito acre e ardente della Shoah
che negli anni continua ad imperversare sugli scampati.
Paul Celan spense la fornace che si portava dentro
gettandosi nell’acqua della Senna,
color della cenere una sera,
correva l’anno millenovecentosettanta.
Diciassette anni dopo Primo Levi volò dalle scale,
quando sentì l’impossibilità d’una giustizia
nel nostro bel Paese smemorato
tra l’indifferenza degli “Italiani brava gente”.
Non c’è scampo ai campi spinati della Shoah,
non c’è scampo ad un male così estremo.
Ma ci sarà mai Giustizia per chi lo ha subito?
Quale riparazione, quale giustizia?
Dio è morto a Treblinka
Dio è morto a Mauthausen
Dio è morto ad Auschwitz
Dio allora è morto per tutta quanta è vasta la terra…
Tu che mi dici – no Dio non è morto:
allora lì dove si seviziavano i bambini,
lì dove l’SS incrudeliva su corpicini già scheletriti
prima di buttarli tra le fiamme,
dimmi Dio forse s’era distratto?
Dimmi Dio era rimasto indifferente?
Quale giustizia, quale giustizia – le vittime
temo resteranno senza risposta, anzi già noi
Per loro sentiamo incombere l’oblio.
L’Umanità sta sospesa e smarrita
dopo la Shoah, attonita portando uno stigma
del quale mai più si potrà liberare.

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1 commento

  1. In uno dei passi de “La notte” (1958), uno dei libri più importanti sulla Shoah assieme
    a “Se questo è un uomo” di Primo Levi , Elie Wiesel, premio Nobel per la pace nel 1986, sopravvissuto ad Auschwitz, descrive gli attimi terribili della morte per impiccagione, nel lager, di un bambino, con altri due condannati, accusati di sabotaggio dalle SS senza alcuna prova.
    “ E noi dovevamo guardarlo bene in faccia. Era ancora vivo quando gli passai davanti. La lingua era ancora rossa, gli occhi non ancora spenti. Dietro di me udii il solito uomo domandare:
    – Dov’è dunque Dio?
    E io sentivo in me una voce che gli rispondeva:
    – Dov’è? Eccolo: è appeso lì, a quella forca…
    Quella sera la zuppa aveva un sapore di cadavere.”

    Le domande che Gabriele Soro pone nella sua poesia, quasi un grido all’umanità, non trovano risposta, e la Giustizia per le vittime è ancora più ferita dalla rimozione della Memoria e dai rigurgiti antisemiti e razzisti che attraversano tutta l’Europa
    (Tonino Sitzia)

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