19 Aprile 2024
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MIMMA

Valeria Pecora, MIMMA -Edizioni La Zattera.

Le vicende, i fatti raccontati hanno la durezza, la crudezza, la cupezza delle tragedie, tra tutte quella della guerra, ma la scrittura mi pare si sia mantenuta, come dire, ‘ariosa’. Proprio lì poi, in quelle terre, a far da contrasto con le gallerie sotterranee, senza sole e senza vento, delle miniere. C’è la natura, nel volgere delle stagioni, con i suoi colori, l’alito del vento, e i fiori, e gli aromi. Soprattutto il fiore dello zafferano, con tanta cura coltivato, presenza che percorre tutta la storia narrata.
Ancora negli anni 20 e 30 del 900, prima della guerra, la condizione dei bambini piegati e costretti al lavoro nelle miniere. E’ l’inesorabile legge del profitto d’una società, d’un sistema capitalistico-industriale che costringe le famiglie povere a togliere i figli dalle scuole, negando loro l’infanzia e poi anche l’istruzione.
Siamo in Sardegna, in quella parte mineraria del Sulcis-Iglesiente con i villaggi ancora oggi importanti di Arbus, di Guspini, e nomi di luoghi come Naracauli, Ingurtosu…
Gennas Serapis è il borgo minerario al centro della narrazione. E protagoniste incontrastate sono, con Mimma, tutte le altre donne che fanno vivere il libro. Figure, mi vien da dire, indistruttibili e delicate nella loro fragilità.
L’amore è parola chiave che percorre tutto il libro. Filiale, materno; tra adolescenti o giovani sposi presi da passione, e in altre diverse forme…
Mi piace sottolineare: “Avevano smesso i panni dei bambini per diventare ragazzi, con l’orgasmo della carne che sfamava, come pane, anche l’anima”, così è detto, con mirabile sintesi, di Mimma ed Edoardo adolescenti.
La carne che si riconcilia con l’anima, anzi la nutre.
Ecco ciò che mi pare importante: questa ‘visione’, questo ‘sentire’ l’essere umano nella sua completezza di carne e di ‘spirito’; il superamento della dualità conflittuale di anima e di corpo. “…l’anima, che per l’uomo comune/ è il vertice della spiritualità,/ per l’uomo spirituale è quasi carne”, meglio d’ogni spiegazione questi versi della poetessa Marina Cvetaeva.
La carne e l’anima…Eppure il Dio dei cristiani s’è fatto carne…Ma la religione cattolica sistematicamente ha mortificato la carne per esaltare l’anima…
Ma Eros dio pagano non si è mai arreso: Italo Calvino nel “Il castello dei destini incrociati” dice a proposito della pazzia di Orlando “…ma il guaio è che alla pazzia lo ha spinto Eros, dio pagano, che più è represso più devasta…”
Ho trovato efficace ed interessante come è stata affrontata la malattia psichica di Mimma, la sua dissociazione: Mimma sente d’essere due donne, una è lei, l’altra è Desir e insieme intrattengono lunghe conversazioni. Puntuali anche le considerazioni generali sulla psichiatria (Basaglia, i manicomi che chiudono come luoghi di detenzione e i matti che vengono curati, rispettati, trattati come esseri umani, anziché allontanati e isolati da una società che li teme…), ovviamente concordo senz’altro.
C’è poi la guerra, i fatti storico-politici: un arco di tempo che va dagli anni 20 in regime fascista, alla guerra, alla rinascita, fino poi agli anni 70.
Di Edoardo si dice che fa la scelta partigiana, per la libertà, per la liberazione. Ma dove va a combattere, che azioni ha fatto con il suo gruppo partigiano: nulla è detto. Ritorna: da dove? Che cosa è successo? Dal momento che ha subito un trauma e impazzisce, e la pazzia porta la tragedia nella famiglia che ha costituito con Mimma (come conseguenza poi anche la pazzia di Mimma).
Forse questi riferimenti alla storia, grande e terribile, sono solo una sorta di labile cornice, un pretesto per dire invece delle conseguenze di quella guerra, di ogni guerra, della violenza (anche di quella necessaria); conseguenze nefaste, traumi non rimarginabili; e su questo l’autrice insiste, precisa. Ossia il suo interesse è il lato umano, la tragedia intima, individuale.
Il capitolo “Epilogo” -ma è solo l’impressione di un semplice lettore- mi ha lasciato un poco perplesso, ma lo dico con molta cautela, mi sembra quello meno ‘riuscito’. Quelle lettere di Edoardo, ritrovate molti anni dopo la sua morte, mi paiono un po’ fuori luogo (forse mi sbaglio e dovrei rileggerle). Forse deriverà dal fatto che essendo io miscredente, o ateo se si preferisce, ha agito in me una sorta di pregiudizio -Edoardo, infatti, scrive di come ha scoperto di credere in Dio (quel Dio che poi non lo ha salvato, e, cosa ancora più grave, non ha salvato il bambino esserino ‘innocente’).
Certo c’è l’amore che rinasce dalle ceneri, dalle macerie, che finisce per affermarsi e sbocciare di nuovo; certo c’è la vita che, comunque, continua in mezzo alla morte, però non mi pare riuscito il finale con la nuova gravidanza di Mimma.
Tanto ancora e di diverso si può dire di e su questo libro, ma mi pare giusto fermarmi qui.

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