19 Aprile 2024
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La ragazza senza nome – Marina Cozzolino

Un quartiere di Napoli

Me la trovai accanto all’improvviso. Salì sulla mia macchina mentre il semaforo da rosso diventava verde.
“Non fermarti, continua a guidare” mi disse con tono calmo.
“Ehi, aspetta un momento. Chi sei e che cosa vuoi? Appena posso, mi fermo e scendi. Ci siamo capiti?” risposi, alquanto alterato.
“Non c’è niente di cui preoccuparsi, sono un tipo molto tranquillo. Non mi drogo, non ho guai con le forze dell’ordine, ho solo bisogno di un passaggio e ti dico io quando fermarti” aggiunse tutto d’un fiato la ragazza.
“Questa è bella! Tu mi dici quando io mi devo fermare… Senti, non mi hai ancora detto qual è il tuo nome. Ecco, qui c’è uno slargo, adesso mi fermo e tu scendi” le risposi, cercando di mantenere la calma.
Inchiodai la macchina e aprii lo sportello invitandola a scendere.
Lei non si mosse. Accarezzava i suoi jeans sdruciti. I suoi riccioli neri nascondevano il volto. Non sapevo che faccia aveva.
Notai che le sue sneakers non avevano i lacci e che il suo corpo emanava uno strano calore.
“Ti prego, ripartiamo” implorò, “devo arrivare a Napoli prima possibile. E’ questione di vita o di morte”.
Ero sbalordito. “ Come sai che devo raggiungere Napoli?” le chiesi.
“Se sei su questa strada, è molto probabile che ti debba dirigere lì” fu la sua flemmatica risposta, che non mi convinceva del tutto perché se era vero che eravamo sulla strada per Napoli, era anche vero che c’erano decine di deviazioni, per altre città e altri paesi.
Mi sentivo a disagio, non tolleravo che un’estranea fosse entrata prepotentemente dentro la mia auto e fosse seduta accanto a me, ma non riuscivo ad adirarmi. Era come se quella ragazza fosse una vecchia conoscenza, un’amica che se ne va all’improvviso, spezzando di colpo un’amicizia e che, sempre all’improvviso, ricompare.
Pensai a Riccardo, a quando, senza una ragione plausibile, non si fece più sentire. Io non lo cercai e lui non cercò più me e sono passati vent’anni…
Ma, se dovessi rivedere Riccardo da qualche parte, improvvisamente, penso che la mia reazione sarebbe uguale a quella che ho provato con la ragazza. A proposito, non so ancora come si chiama… Sì, avrei la stessa reazione di stupore, di meraviglia, ma non mi arrabbierei. Gli chiederei “ Come va?” e poi, come se quel tempo non fosse mai trascorso, cominceremo a chiacchierare, a scherzare sulle gambe della sua ex coinquilina, quella che piaceva a tutti e due. Come si chiamava? Sonia, mi pare. Sì, Sonia. Ricorderemo le nostre partite a calcetto e le interminabili discussioni dentro lo spogliatoio e rideremo ancora una volta di quello stronzo del nostro ex capo. E forse ricominceremo a frequentarci, come ai vecchi tempi.
Restammo per un lungo tempo senza parlare, io e la ragazza, ognuno immerso nei propri pensieri.
La strada scorreva veloce e stranamente, anch’io volevo raggiungere al più presto Napoli.
“Ecco, sono arrivata. Fammi scendere, per favore” disse la ragazza, slacciando di colpo la cintura. Quando sollevò il braccio, sentii ancora quello strano calore.
Fermai la macchina e lei scese.
“Grazie di tutto, Flavio”, disse senza neanche farmi un sorriso.
Prima che potessi chiederle come si chiamava e come conoscesse il mio nome, scomparve tra i vicoli dei quartieri spagnoli.
Mi rituffai nel caotico traffico partenopeo ripensando allo sguardo della ragazza senza nome.
Mi aveva guardato, ma era come se non mi avesse visto veramente. E che aveva voluto dire con “ E’ questione di vita o di morte?”.
Percorsi tutta la Via Caracciolo e appena mi fu possibile, invertii il senso di marcia.
Mi trovai incolonnato in una fila interminabile di auto.
I motorini sfrecciavano pericolosamente e indisturbati.
Appena rallentai, tre teppistelli ricoperti di tatuaggi diedero un colpo sul cofano della mia auto.
Non accennai alla minima reazione, non m’importava di loro, volevo raggiungere al più presto “ i quartieri”. Dovevo ritrovare la ragazza.
M’infilai nel dedalo di vicoli. Chiesi di lei ai negozianti delle tante rivendite di borse, abiti e souvenirs per turisti coraggiosi che sfidano la triste nomea di quelle strade, ma nessuno di loro aveva visto la ragazza bruna con i ricci, con i jeans sdruciti e le scarpe sportive senza lacci.
Avevo fame ed entrai in una piccola trattoria di Via Toledo. Mangiai il piatto del giorno consigliato dal cuoco: Baccalà fritto.
La simpatica proprietaria insistette perché assaggiassi anche una fetta di pastiera di grano. Anche a lei chiesi della ragazza, ma senza risultato. Pagai e uscii.
Nel buio sentii correre dietro le mie spalle e fui urtato da due ragazzini, poco più che bambini, che scappavano.
Due ragazzi più grandi, armati di coltello a serramanico, li inseguivano.
Vidi i due ragazzini rifugiarsi in un “basso” e i due ragazzi più grandi andare oltre.
M’infilai anch’io nel “basso”. I due ragazzini, rannicchiati contro il muro, ansimavano per la corsa forsennata.
“Quelli sono andati più avanti” dissi “ non muovetevi. Vado a prendere la macchina e vi porto a casa”.
Quando mi fermai con l’auto davanti al “basso”, i due ragazzini vi saltarono dentro.
Io non ebbi neppure il tempo di rendermi conto di quello che stava accadendo.
Mi sentii trascinare fuori dall’auto e una lama perforò le mie viscere. Il mio sangue si allargava sul marciapiede come un gigantesco fiore rosso.
Cominciai a percepire uno strano calore, simile a quello che avevo avvertito qualche ora prima accanto alla ragazza senza nome.
Adesso la vedevo. Distinguevo perfettamente i suoi riccioli bruni. Mi guardava negli occhi ma, il suo sguardo sembrava non vedermi.
Si accarezzava i jeans sdruciti e le sue sneakers erano ancora senza lacci.
Osservavo il mio corpo, raggomitolato sull’asfalto; un corpo che non mi apparteneva più. Sentivo le sirene dell’ambulanza e della polizia e le urla delle donne del vicolo. Poi, fu silenzio e notai che anche le mie scarpe erano senza lacci.

Marina Cozzolino
(Il racconto ha vinto il 2° premio per la prosa al Concorso “Melodie nell’anima” Uta, 2015)

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