19 Aprile 2024
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“Dai Lumière a Sonetaula”: una recensione per ricordare Gianni Olla

Gianni Olla si è spento due giorni fa a Cagliari, ed è una perdita per la cultura sarda. 

Il suo “Dai Lumière a Sonetaula” era stato presentato ad Elmas nel 2009 dall’associazione Alambicco e da Equilibri, e poi a Pisa (dicembre 2012) quando l’Associazione Culturale Sarda Grazia Deledda di San Giuliano Terme” aveva ospitato Gianni Olla e il Presidente di Equilibri.

In ricordo di Gianni Olla ripubblichiamo la recensione di Tonino Sitzia (2012),con alcune correzioni dopo l’annuncio della sua morte.

 “Dai Lumière a Sonetaula” è una sorta  enciclopedia, un immenso database ragionato, un repertorio, un manuale, scritto da uno dei massimi conoscitori e studiosi di cinema in Sardegna. Tra i tanti che si peritano di essere “esperti” di cinema, Olla, che è stato critico cinematografico de “La Nuova Sardegna” e già docente di Storia e Critica del cinema presso le due Università di Cagliari e Sassari, era uno dei pochi in grado di scrivere un’opera come questa, frutto di un trentennale lavoro di ricerca (dal 1978 al 2007) negli archivi RAI di via Teulada, in quelli dell’Istituto LUCE, di Enti Pubblici (per esempio quello dell’ETFAS oggi ERSAT), nei labirintici e polverosi corridoi della Regione sarda, presso autori, produttori, critici del cinema.

La struttura di quello che può considerarsi il “libro di una vita” si articola in una introduzione, un “racconto” di 107 pagine della Storia del cinema in  Sardegna,  suddiviso in 9 capitoli tra contesti, tendenze e autori, dai Lumière ai nuovi registi sardi, con una precisa distinzione tra film di finzione di matrice deleddiana, fino a quelli del dopoguerra che dovranno fare i conti con la Deledda pur volendosene liberare. L’’articolazione del volume comprende il filone documentaristico del periodo fascista (documentari LUCE dal 1925 al 1942) e del dopoguerra (cinegiornali con sequenze sarde dal 1955 al 1974). Al “racconto” fanno poi seguito 472 schede, con dettaglio di cast, regia, anno di uscita sugli schermi, produzione, breve sunto e note critiche, relative a 113 film a soggetto dal 1905 al 2008, a 237 documentari dal 1899 al 2007, a 20 sceneggiati televisivi, 43 documentari e inchieste televisive dal 1953 al 1983 e 59 produzioni della Sede Regionale RAI Sardegna; il tutto è accompagnato da un ricchissimo apparato iconografico: 174 foto in bianco e nero, tutte bellissime, alcune rare, di locandine di film, di scene e sequenze, di primi piani di attori e registi (molte dall’archivio di Sergio Naitza).

Questa enorme mole di materiali, che pone certo un punto fermo nello studio del cinema in Sardegna, ma che Olla stesso non considerava definitivo né esaustivo, appellandosi ai giovani studiosi che vorranno portare avanti tale lavoro, consente di rispondere ad alcune domande: 1. come nel tempo, nell’arco di 109 anni, il cinema ha rappresentato la Sardegna; 2. Come il Potere ha usato il cinema per i suoi scopi (per esempio come il filone della modernità ha attraversato la storia del cinema in Sardegna, dal fascismo al dopoguerra,  quella rappresentazione di un’eterna e mai risolta transizione tra l’arcaico e il moderno); 3. Come i sardi si sono visti rappresentati nel cinema e se vi si sono  riconosciuti. È noto come i sardi faticano a riconoscersi nella finzione filmica, basti ricordare le polemiche e le discussioni su “Padre padrone” dei fratelli Taviani, quel “noi non siamo così” rivela la stessa diffidenza e paura che aveva Grazia Deledda quando non si riconobbe nella sceneggiatura di Eleonora Duse di Cenere, unico film della grande attrice, girato nel 1916 e tratto liberamente dall’omonimo romanzo della scrittrice nuorese, e dunque con l’implicito riconoscimento della enorme importanze del cinema, che crea l’immaginario pur non essendo esattamente il reale.

Nota di speranza, alla fine del libro, per i nuovi registi sardi: il futuro è per le grandi e piccole periferie del mondo. Dopo il centralismo romano e quello di Hollywood, con i nuovi e più agili mezzi di produzione, forse è da lì che nasceranno nuove storie per immagini rappresentative di un mondo non più eurocentrico e americanocentrico.

A proposito della necessità di ammazzare la Deledda, e il canone interpretativo del mondo sardo che da lei sarebbe derivato, su sollecitazione di uno studente sardo pisano che ne prendeva le difese non solo per rendere omaggio al nome dell’associazione, si è convenuto che forse c’è stato un certo narcisismo dell’esotico da cui noi sardi non siamo immuni e che a volte assecondiamo, e una certa  pigrizia da parte degli autori che ne hanno utilizzato i materiali narrativi senza rinnovarli per adattarli ai tempi che cambiano

Alla fine del dibattito di Pisa, Gianni Olla, che ha pubblicato articoli sulla Deledda e un importante saggio della AIPSA nel 2000 (“Scenari sardi, Grazia Deledda tra cinema e televisione”), in una privata battuta mi fa: te lo immagini un film tratto dal romanzo La madre, con regia di Kurosawa o di Almodovar, l’uno sarebbe drammatico e l’altro surreale…

Certo sarebbe spiazzante per i deleddiani di ferro e per gli antideleddiani convinti.

Tonino Sitzia

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