28 Marzo 2024
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Per non dimenticare: Olivier Guez, “La scomparsa di Josef Mengele” (Neri Pozza, 2018)

In questi giorni della Memoria (intorno al 27 gennaio) ho riletto il libro di Olivier Guez,  giornalista e scrittore francese, vincitore del prestigioso Prix Renaudot nel 2017, sceneggiatore del film Lo Stato contro Fritz Bauer (Der Staat Gegen Fritz Bauer) film del 2015  diretto da Lars Kraume, di recente ritrasmesso in TV.

Si sa che certi i libri non sono mai datati, e li riprendi per interrogarti e poi magari porti ulteriori domande su come e perché “ciò è accaduto”. Il romanzo ricostruisce la vita di uno dei più efferati criminali della storia del Terzo Reich, l’angelo della morte, il sorridente medico gentile dagli occhi chiari che ad Auschwitz dal maggio 1943 al gennaio 1945, nel “suo laboratorio, il più grande del mondo, aveva a sua disposizione uno zoo di bambini cavie per indagare i segreti della gemellarità, produrre superuomini e rendere le tedesche più fertili allo scopo di popolare, un giorno, con contadini soldati i territori dell’Est, strappati agli slavi e difendere la razza ariana” (pag.16). Un’alchimia al servizio della purezza della razza nel sogno aberrante dell’uomo nuovo.       

Lo stile è quello freddo, teso, sul filo della oggettività storica. Lo stesso autore ha dichiarato di ispirarsi come tecnica narrativa a “A sangue freddo” di Truman Capote.  Il contenuto è frutto della ricerca storica sul Mengele di Auschwitz, di cui conosciamo l’abisso di ferocia e crudeltà, e soprattutto sul  “Mengele dopo Auschwitz”.

L’autore segue meticolosamente i suoi passi in Argentina, in Paraguay, e Brasile, dove morirà nel 1979, a più di trent’anni dalla fine della seconda guerra mondiale, ma sono frequenti i flashback, i rimandi alla sua vita in Germania, alla sua Irene, da cui si separerà per sposare poi Marta Maria Will (Paraguay 1958), a suo figlio Rolf, a suo padre Karl e sua madre Walburga.   

Mimetizzatosi nel caos della Germania del dopoguerra, di lui si erano perse le tracce dal 17 gennaio 1945, dieci giorni prima della liberazione del campo di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa. Supericercato e scampato ad un campo di prigionia americano, con passaporto falso intestato a Fritz Ullmann, Mengele arriva in Argentina il 22 giugno 1949. Provvisto di un documento di viaggio della Croce Rossa Internazionale, nel visto di ingresso allo sbarco nell’immenso porto di Buenos Aires si presenta come “Helmut Gregor, altezza 1,74, occhi castano verdi, nato il 6 agosto 1911 a Termeno, o Tramin in tedesco, cittadino tedesco di nazionalità italiana, professione meccanico…”. Quando i doganieri ispezionano i bagagli, sono incuriositi dal “contenuto della valigia più piccola: siringhe ipodermiche, quaderni di appunti e di schizzi anatomici, campioni di sangue, vetrini di cellule”. Al medico del porto dichiara di essere un biologo dilettante. Pericolo scampato: un brivido di paura e lo lasciano passare.

Dopo un primo periodo di vita stentata e prudente, Gregor prende contatti con la numerosa colonia di nazisti che hanno trovato rifugio, protezione, connivenze nell’Argentina di Perón e di Evita, i banchieri tedeschi ne hanno favorito l’ascesa e il modello autoritario nazista e fascista affascina . Un solo nome tra in tanti che vi hanno trovato rifugio: Erich Priebke, il responsabile dell’Eccidio delle Fosse Ardeatine.

La feccia nera dell’Europa nazista e fascista si ricicla in Argentina e Helmut Gregor viene anche ricevuto alla casa Rosada da Perón, a cui fa cenno dei suoi esperimenti genetici. Nel breve giro di pochi anni Gregor si fa più disinvolto, protetto sin dal suo arrivo dalla vasta rete di ex nazisti, e in particolare da Hans Sedlmaier, che cura gli interessi del padre Kurt, il ricco industriale produttore di macchine agricole che fa affari anche in Argentina. Molti sanno chi è Gregor, ed è sconcertante che per dieci anni dal 1949 al 1959 egli abbia goduto di relativa libertà, tanto che nel 1956 “il Consolato della Germania a Buenos Aires gli consegna un passaporto tedesco intestato a suo nome”. Josef Mengele riacquista la sua identità, con evidenti responsabilità delle autorità germaniche, che erano al corrente di come, già dal 1957, egli era nella lista internazionale dei ricercati per crimini di guerra. Una sorta di nemesi rovesciata: Mengele recupera la sua memoria e identità, mentre la Germania l’ha persa per dieci anni. Quando finalmente le autorità tedesche chiedono alle autorità argentine l’estradizione di Mengele (30 settembre 1959) è ormai tardi. Braccato anche dal Mossad, Mengele è ormai in giro per il Sud America,  si risposa, viaggia in Cile, Paraguay, Brasile, dove muore il 7 febbraio 1979. Riesumata la salma dal cimitero di Embu des Artes, nel 1992 il DNA conferma l’identità. “La famiglia non ne reclama la salma, e Mengele non avrà sepoltura…i suoi resti sono in mano agli apprendisti medici dell’università di San Paolo”.

A conclusione del libro si legge “Ogni due o tre generazioni, quando la memoria si affievolisce e gli ultimi testimoni dei massacri precedenti scompaiono, la ragione si eclissa e alcuni uomini tornano a propagare il male” E poi (pag.193) una frase, quasi una poesia auspicio “Possano restare lontano da noi i sogni e le chimere della notte. Diffidenza, l’uomo è una creatura malleabile, bisogna diffidare degli uomini”.

Si, bisogna diffidare degli uomini, e perfino di noi stessi e non smettere di interrogarci,  perché Mengele era figlio di un imprenditore simbolo di un sistema economico e imprenditoriale che ha assecondato lo sterminio e era anche un prestigioso medico e studioso di genetica ed eugenetica, che da molti anni, tra la fine dell’Ottocento  e i primi decenni del Novecento, hanno affascinato le più prestigiose università americane e ed europee.

Tonino Sitzia

7 febbraio 2022

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2 Commenti

  1. Non c’é fine all’orrore. Nonostante la guerra sia finita da 77 anni e pensiamo di sapere tutto delle atrocità commesse, continuiamo a scoprire fatti sconvolgenti. Ho letto in questi giorni che il comune di Arborea nel 2009 ha eretto una lapide che commemora i bambini di Bullenhuser Damm, assassinati ad Amburgo nel 1945.Incuriosita sono andata a cercare qualche notizia. Nel campo di Neungamme, il medico nazista Heissmeyer si fece assegnare 20 bambini ebrei come cavie. I bambini provenivano dal campo di Birkenau e fu proprio Mengele che li selezionò. Entrando nella baracca diceva ai bambini: ” Chi vuole vedere la mamma, faccia un passo avanti”.
    E quale bambino non desiderava vedere la mamma?
    Il dottor Heissmeyer iniettò i bacilli tubercolari nei bambini che poi operò asportando loro i linfonodi ascellari. Ma gli alleati stavano arrivando e il Reich doveva far sparire le tracce di quanto era accaduto e così, nella notte del 20 aprile 1945, nella scuola di Bullenhuser Damm, ai bambini venne iniettata della morfina e poi vennero appesi per il collo a dei ganci. “Come quadri alle pareti” dirà al processo un ex SS “e nessun bambino ha pianto”. Nel giardino della scuola,negli anni ’80, é stata posta una lapide su cui c’è scritto.” Qui sosta in silenzio, ma quando ti allontani parla”.
    Il dottor Heissmeyer, finita la guerra, fu reputato un grande luminare degli studi sulla tubercolosi; verrà condannato solo nel 1963 grazie ad un giornalista che aveva scoperto che era rimasto impunito. Morirà in carcere per arresto cardiaco qualche anno più tardi.

  2. Recensendo “La scomparsa di Josef Mengele” di Olivier Guez, Antonio Sitzia ci offre una sintesi della vita di Mengele dopo Auschwitz. Il criminale fuggitivo si rifugia in Argentina, poi si sposterà in Cile, in Paraguai, in Brasile, dove muore nel 1979. Impunito, come altri criminali nazisti. Si tratta di una mancata giustizia, di una sospensione di giustizia, di un vuoto di giustizia che pesa sull’umanità intera e su ogni singolo offeso in quei campi di sterminio.
    Leggendo provo una sensazione inquietante e di sconcerto. Ecco di che cosa si tratta: Mengele è un uomo in pace con la sua coscienza. In lui peserebbe solo il rammarico di non aver fatto abbastanza, per ciò che gli competeva, per portare a termine il progetto della “soluzione finale”. Anche Eichmann si rammaricava di non avere ammazzato più ebrei.
    I criminali nazisti non sono tormentati dai loro crimini. Chi ha organizzato e freddamente preparato questo male estremo è in pace con la propria coscienza. La vita, invece, di chi ha ricevuto quel male è per sempre straziata. Il ricordo di ciò che è accaduto non da loro mai pace.

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