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Luciano Marrocu “Storia popolare dei sardi e della Sardegna”(Laterza 2021)

È nota una celebre affermazione di Croce “La storia è sempre contemporanea”, e Gramsci aggiungeva che la storia è anche filosofia, cioè concezione del mondo,  e prassi, cioè politica: lo studio del passato ci aiuta a capire e agire nel presente.

Quando noi contemporanei di Elmas percorriamo la strada che porta verso l’aeroporto, uno dei simboli della modernità, incontriamo le vestigie abbandonate della Chiesa di Santa Caterina. Sappiamo che è una chiesa romanica, costruita dai monaci Vittorini di Marsiglia (documentata nella Bolla papale di papa Urbano II del 4 aprile 1095) sulle rovine di una precedente villa romana che si chiamava Simbilia o Semelia, sappiamo anche che quando l’ordine monastico abbandonò la Sardegna i servos che ci vivevano si spostarono più all’interno andando a stabilirsi in una mansio (dal lat.medievale mansum) romana preesistente all’arrivo dei monaci marsigliesi, primo nucleo della spagnola El-Mas. Recuperare quel bene significa agire sul presente in quanto coscienti del passato.

Cippo calcareo di età romana all’interno di Santa Caterina

A pag.49 della sua “Storia popolare dei sardi e della Sardegna” Marrocu ci dice qualcosa in più: i Giudici (vedi il capitolo II “Nell’anno 1000 e oltre”) usavano fare donazioni agli ordini monastici (Benedettini nel nord e Vittorini soprattutto nel sud dell’isola) per ottenere le preghiere dei monaci per la propria famiglia e la propria casata, ma anche perché essi, in una sorta di “scambio di prestazioni”, “diffondevano pratiche nel campo dei dissodamenti e della conduzione agricola per le quali i monaci era famosi” “Le donazioni che attraverso diversi ordini religiosi favorivano ora i pisani ora i genovesi furono un ulteriore strumento con cui i giudici legarono a sé in rispettivi protettori al di là del Tirreno”. I monaci erano incoraggiati e protetti dalla Chiesa di Roma, che intendeva estirpare ogni pratica religiosa di tipo orientale che si era affermata in età bizantina.   

Mi sono soffermato su questa vicenda perché emblematica di come nel corso del tempo la storia locale e quella nazionale o universale si intersecano continuamente, l’una impatta sull’altra e viceversa, e dunque ogni velleità localistica o nazionalistica non ha ragione di essere, e può essere controproducente e pericolosa. La vicenda citata inoltre rivela il metodo di Marrocu nell’affrontare la Storia della Sardegna, e la nostra in quanto in essa noi siamo inseriti: avere un approccio critico e di conoscenza, senza miti o ideologie che i fatti e i documenti storici smentiscono. Nel caso specifico se è vero che in giudici, ormai lontani e liberi dal controllo di Bisanzio, si dotarono di istituti propri, e famiglie ed élites locali assunsero piena sovranità nelle quattro aree del territorio sardo, non è vero che la Sardegna “fu davvero autonoma”, perché i traffici con Genova e Pisa furono continui, e ne segnarono alla fine la decadenza.

Dunque la millenaria storia della Sardegna è segnata dalla mescolanza con nuclei di popolazioni provenienti da aree ad essa esterne, dalla Toscana quando circa 300.000 anni fa era unita in un unico blocco insulare con la Corsica, poi dagli approdi da Cipro (8500 a.C ), o i coloni giunti dal mare, dalla mezzaluna fertile (Mesopotamia) circa 5.600 a.C, che introdussero l’agricoltura, l’allevamento e la ceramica, e poi ancora l’età nuragica (1800 – 1700 a.C), quella nuova cultura e civiltà così caratterizzante la nostra isola. Ma anche su questo Marrocu: “Se ai nostri occhi la civiltà nuragica può anche apparire come un inizio, di certo non era così per i Nuragici, che si sentivano parte di una storia le cui radici andavano molto indietro nel tempo”.

Altri popoli e altre vicende si sono alternate nel corso del tempo fino ai giorni nostri, e il libro, diviso in XIII capitoli, può essere letto sia cronologicamente che per argomenti, personaggi e temi. Lo stesso autore ne suggerisce quattro, a suo avviso meritevoli d’attenzione: la Sardegna nell’ambito della “monarchia composita” spagnola; la storia e la memoria delle vicende del 1793/96; la presenza di una “questione sarda” nel processo di costruzione dell’unità nazionale italiana; il senso della riproposizione di una “identità sarda” nel contesto della globalizzazione.

Su quest’ultimo tema si può affermare che nel succedersi delle vicende preistoriche e storiche, la Sardegna ha plasmato una sua identità contradditoria, che si coglie nel paesaggio, nel contrasto tra appartenenza e appartenenze all’Italia, all’Occidente, al Mondo globale (come sosteneva Giulio Angioni), nella lingua, tanto da segnare quel sentimento di alterità e di lontananza di cui noi sardi siamo portatori a volte esaltandone i tratti (specificità e nazione), e in altre evidenziando il nostro modo di essere pienamente inseriti in contesti più ampi, in particolare nel mondo mediterraneo.

Tonino Sitzia

29 novembre 2021

(Il libro di Luciano Marrocu è stato presentato a Elmas il 19 novembre 2021)

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