30 Aprile 2024
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Bruno Arpaia “Qualcosa, là fuori” (Guanda 2016)

Chi non ha in mente l’immagine dell’orso polare intrappolato alla deriva sulla banchisa artica frantumata dallo scioglimento dei ghiacci? Nella sua solitudine l’orso evoca metaforicamente quanto potrebbe accadere all’uomo in un futuro prossimo venturo, quando gli effetti dei cambiamenti climatici, già oggi percepibili, saranno irreversibili, e come l’orso rischia la scomparsa per la rottura dell’ecosistema in cui vive, anch’egli potrebbe scomparire perché non è detto che siamo eterni. 

A pochi giorni dalla conferenza sui cambiamenti climatici delle Nazioni Unite (COP26) che si terrà a Glasgow, dall’1 al 12 novembre 2021, torna utile la lettura di “Qualcosa là fuori”, il libro che Bruno Arpaia scrisse nel 2016, e che conserva tutta la sua attualità.

Il romanzo, che alterna intreccio narrativo e riflessioni scientifiche, è ambientato in un ipotetico anno di fine secolo e ha per protagonista l’ormai anziano Livio Delmastro, a suo tempo brillante ricercatore e professore di neuroscienze. Il professore si trova a condividere il destino di una carovana di disperati controllati dalle guide della Trans Hope, una compagnia di viaggi che non è in grado di garantire né la meta da raggiungere né l’incolumità dei clienti.

Si tratta di una carovana di migranti ambientali, come ce ne sono anche oggi in varie parti del mondo, che partendo da Napoli tentano di raggiungere la Scandinavia, unico luogo abitabile e con una parvenza di vita in una terra ormai devastata e irriconoscibile. Tutto quello che gli scienziati avevano paventato ad inizio secolo si era avverato. Sebbene gli accordi di Parigi del lontano 2015, quando Livio era ancora un ragazzino, impegnassero tutti gli stati a limitare il riscaldamento  globale sotto i 2°C, e proseguire gli sforzi per arrivare all’1,5 °C, negli ultimi decenni del secolo si era passati a 3 °C, e la concentrazione di CO2 (gas serra) stava ormai per superare le 450 parti per milione.

Il leitmotiv di tutto il romanzo è la descrizione delle campagne abbandonate, e bruciate da un caldo inesorabile e dagli incendi, dei fiumi prosciugati, la cui foce è stata assorbita dall’innalzamento del mare, del puzzo degli animali in decomposizione, delle automobili arrugginite, delle case ridotte in macerie, da cui cecchini sopravvissuti alla catastrofe sparano per difendere il poco rimasto, e soprattutto i pozzi dell’acqua, ormai quasi asciutti.   

In sequenza, come un calvario, la carovana attraversa le città e le campagne di un Europa in disfacimento, l’irriconoscibile e un tempo opulenta pianura padana, la Svizzera, che chiede un pedaggio ai migranti per garantire loro il passaggio, le armoniche campagne tedesche ormai a secco, come i grandi fiumi delle pianure centrali.

Man  mano che la carovana si spinge verso nord una concentrazione di esseri umani, laceri e affamati, profughi di tutte le nazioni del mondo, si ritrova sulle rive del Baltico, come nel profondo di un imbuto infernale. Le nazioni nordiche intanto si sono costituite nell’Unione del Nord, pronte a respingere con tutti i mezzi le orde del Sud del mondo.

Anche la geografia del territorio è stravolta: mangrovie, campi di pomodoro, fave zucchine, ulivi, per i quali  spietata è la lotta dettata dalla logica della sopravvivenza.

Nel viaggio i migranti instaurano rapporti, e un minimo di socialità aiuta a sopravvivere in un mondo belluino.  Accanto a Livio, Marta, con cui forse può nascere qualcosa, sua figlia Sara, Miguel, la signora Vargas, e altri che non ce l’hanno fatta.

Livio, nelle notti insonni e nelle estenuanti marce verso il nord, sopravvive grazie ai ricordi, in un continuo flashback tra passato e presente: conosciamo così il suo passato di ricercatore negli Stati Uniti e il suo rapporto con Leila, ricercatrice di Fisica  figlia di emigrati siriani, con cui avrà un figlio e che saranno accomunati dallo stesso tragico destino, il continuo dibattere sugli effetti dei cambiamenti climatici tra scetticismo e catastrofismo di molti suoi amici e colleghi nei primi decenni del secolo.

Un libro distopico, quello di Arpaia, come altri di quel genere: valga per tutti Fahrenheit 451 di Ray Bradbury (1953), laddove la letteratura supera la realtà o ne prefigura il futuro.

Tonino Sitzia

Ottobre 2021

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