25 Aprile 2024
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Costanza Savini e Ismail – Recensione di Carla Cristofoli

Ismail ormai è grande e quando chiude gli occhi sogna. Ismail non ha più paura perché ha capito che la vita e la morte non esistono, ma è tutto un andare di qua e di là.
Ismail quando chiude gli occhi sogna i compagni di viaggio, quelli che si sono persi nel mare, che non sono arrivati da nessuna parte e che continuano a viaggiare ‘da qualche parte nel mare del tempo’.
Anch’io sono grande, e nonostante tutto, ancora oggi, prima di addormentarmi leggo una favola, naturalmente me la leggo da sola, che nessuno leggerebbe una favola al capezzale di una quasi cinquantenne.
Leggo favole perché ho bisogno di un traghetto che mi trasporti dalla realtà all’aldilà, che mi dia la formula per trovare il sogno e soprattutto il sogno giusto, quello che risolva la realtà.
Ismail invece fa un viaggio onirico al contrario. Prima di addormentarsi pensa a loro, a quelli in fondo al mare.
Dei suoi compagni di viaggio Ismail sente il respiro, questo spira nei suoi sogni, come un vento di mare, i suoi sogni cosi diventano una ninna nanna. Si incastrano l’uno con l’altro, come fanno le parole, uno accanto all’altro a formare una storia che lo riporti indietro nel tempo, fino a sua madre, che è terra, terra-madre, al di là del mare.
La favola di Ismail e il grande coccodrillo del mare è appunto la narrazione all’inverso di questo viaggio.
Ismail, che ha ormai superato i cinquantanni, racconta di quel ragazzo e di quel viaggio:
“Raccontarlo, ancora oggi, è come fare uno squarcio nel buio della notte e passarvi attraverso.
In mare può accadere di tutto”.
È Ismail che attraversa il mare, in un barcone carico di disperazione, ci racconta il suo arrivo, le sue avventure, le sue paure, le fughe, gli incontri.
Soprattutto ci racconta della ricerca di quanto di buono e salvifico ci sia nella vita, l’abilità di distinguere l’inferno da tutto il resto, e quel che resta, quando è buono, accoglierlo, nutrirlo, dargli sempre più spazio.
È il racconto di un trauma profondo, la perdita dell’innocenza, l’incontro con l’onda, il grande coccodrillo del mare, che ti strappa di mano la fanciullezza e ti schiaffeggia la morte in viso.
Una cicatrice profonda che segna tutto un destino, come la linea centrale che attraversa il palmo della mano: la linea del cuore, che attraversando il monte di Giove, predice pericolo di morte violenta e indica una mano sfortunata. È la fatalità che segna il percorso di questo eroe. Anche Ismail, come tutti gli eroi delle favole, ha un percorso tracciato, un destino:
“E come si fa, a soli quattordici anni, ad avere quel potere lì? Il potere di fermare la morte e di trattenere la vita in una mano. In questa mano!
È da allora che sento la morte qui, nella mia mano. La destra”.
Come tutti gli eroi Ismail ha un percorso da seguire, ostacoli e difficoltà da superare, altri eroi da incontrare e affrontare, amici e nemici. Il percorso dell’eroe passa attraverso dei passaggi, che qui sono sei, e che portano il bambino a diventare uomo consapevole di sé e delle cose del mondo.
Ogni favola è, in fondo, un’allegoria del romanzo di formazione, la narrazione di come il bambino impari ad accettare il destino, ad affrontarlo e a superare le sue paure.
Quello che di diverso ha questa favola rispetto alle altre, è che favola non è. È storia vera. Ismail non è un eroe in senso proprio, è uno dei tanti, in carne e ossa, che attraversa il mar Mediterraneo e abbraccia, quando ci arriva, la luna siciliana al suo arrivo.
Come dice Ruggero Sintoni, nella prefazione a questo bel racconto:
“È solo uno di quei tantissimi ragazzi del continente ‘al di là del Mediterraneo’ che come lui sono solo uomini del nostro tempo. I suoi antagonisti non sono degli anti-eroi fiabeschi, ma alcuni dei tanti, troppi, malvagi sempre del nostro tempo”.
E io sono d’accordo con Sintoni, sono d’accordo con lui quando anche dice che di questo genere di ‘favole’ c’è tanto bisogno, che dovrebbero esser lette non solo dai ragazzi e dagli insegnanti, ma da tutti, perché a tutti farebbe bene, un gran bene.
In questa favola c’è un altissimo misticismo, il sentimento del divino cosmico, l’uno e il tutto, l’uomo e la natura, in un solo e unico abbraccio, un senso profondo del magico, che incanta e coinvolge.
Sembra di vederli quei ‘cedri e abeti abitati dalle scimmie di Barberia, tutte boccacce e dispetti’, sembra di sentirlo l’odore dell’argan, pieno di ‘fuoco giallo del sole’, olio profumato ‘destinato alle mogli degli emiri, dei gran sultani e dei mercanti di petrolio’.
Costanza Savini è piena di attenzione e delicatezza verso questa umanità dolente che affonda nella disperazione e tracima sulle nostre coste il desiderio spumeggiante di vivere una nuova vita dopo aver attraversato la morte.
La penna della Savini è come la mano destra del suo eroe, ha il potere magico di vedere ciò che tocca, cose e persone comprese. È come un organo visivo.
Il potere curativo della “parola”, la parola che dà senso, unisce e mette in relazione, il dialogo e l’incontro:
“ogni parola, qualunque essa sia, se la si dice con il cuore prende una carica, un’energia e una forza speciali. Una parola pronunciata dal cuore, insomma, può spostare o cambiare molte cose”.
E allora io, questa favola la vorrei tenere cosi com’è, al di là delle interpretazioni e delle analisi, vorrei che fosse quella ‘parola che parla alla parte più invisibile’ di noi stessi.
Costanza Savini usa la parola come un talismano, è stato detto altrove e più autorevolmente. Scoperchia Il mondo interiore e le sue ragioni sono aperte. In qualche modo rivela il movente del peregrinare di Ismail e, con Ismail, dell’umanità.
Ismail cerca quello che in fondo cerchiamo noi tutti: la libertà.
Ismail cerca la donna che gli darà la formula per andare dove vuole. Anche sulla luna.
La libertà di viaggiare, cercare, migliorare ed evolvere verso la realizzazione di se stessi.
“Ma poi la trovasti o no la donna dalla mano guantata? Mi chiederete a questo punto della mia storia”.
Non vi resta che ascoltare le parole di questa storia sussurrata a fior di labbra, mettervi in ascolto della vostra ‘bussola interna’, lasciare che una mano materna metta ordine nei vostri pensieri spettinati e addormentarvi nel sogno.
Il sogno che va nella giusta direzione, là dove si trova la patria, non un luogo fisico, costruito su confini strategici, ma che si trova là “dove è il tuo bene”.

Carla Cristofoli

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