Pubblichiamo i risultati del Concorso Letterario 2025, i nomi dei vincitori, i loro lavori e le motivazioni delle Giuria, che era composta dai Prof. Fabrizio Lo Bianco e Antonio Sitzia. La premiazione si è svolta il 24 giugno 2025 alle ore 17.30 presso l’Atrio del Comune di Elmas in Piazza Ruggeri”.
Nominativi vincitori e motivazioni della Giuria:
1° Premio: a Carlotta Cervellera
Primo premio per la recensione dal titolo “Dove nasce il coraggio”, tratta dal romanzo “Ogni mattina a Jenin” di Susan Abulhawa. La giuria ha ritenuto che, a dispetto della giovane età della concorrente, la recensione mostri una notevole maturità e profondità di analisi.
Dove nasce il coraggio
I libri, fin da piccola, mi sono sempre sembrati noiosi, distanti, poco interessanti. Insomma, non mi piaceva leggere.
Da studentessa un po’ più grande, però, qualcosa è cambiato. Un libro, preso quasi per caso, mi ha emozionata fino alle lacrime. Quelle che fino a poco tempo prima erano solo parole sopra un foglio bianco, erano riuscite a toccarmi nel profondo, a farmi sentire parte della storia, come se io fossi la protagonista. Sto parlando di “Ogni mattina a Jenin” di Susan Abulhawa. Non è solo la storia di una bambina palestinese, Amal, e della sua famiglia, ma è il racconto di cosa significhi crescere con il dolore cucito addosso e, nonostante tutto, scegliere ogni giorno di amare, ricordare, resistere.
È un viaggio dentro temi universali come l’identità, la perdita, la famiglia, l’ingiustizia e la resilienza. Un libro che ci costringe a guardare oltre ciò che è comodo, a metterci nei panni degli altri. Il conflitto israelo-palestinese fa da sfondo, ma qui lo vediamo con gli occhi di chi lo vive davvero, sulla propria pelle. Non è una lezione di storia, è un grido pieno di dolore. Questa storia ci obbliga a porci una domanda importante: come possiamo capire un popolo, se non ascoltiamo ciò che ha da raccontare?
“Ogni mattina a Jenin” non ci parla della guerra con numeri o date, ma con volti, abbracci, silenzi. L’infanzia di Amal non è fatta di giochi o corse al parco, ma di sirene, tende rotte e occhi che non riescono più a sognare. Quello che per noi è normale una stanza, un letto, andare a scuola per lei è un lusso, qualcosa che può solo immaginare. Eppure, questa storia non parla solo di sofferenza. Ti fa sentire parte di quella famiglia, del dolore e della lotta per conservare l’unica cosa che poteva tenerli in vita: la speranza. Perché alla fine “Ogni mattina a Jenin” non racconta solo di una famiglia, ma parla di tutti noi, della voglia di chiamare un posto “casa”, del bisogno di essere amati, della libertà. Ci ricorda cosa conta davvero. Quanti di noi lo hanno dimenticato?
Un aspetto che mi ha colpita è la forza silenziosa delle donne protagoniste: Dalia, la madre, calma ma potente, e Amal, fragile, che trasforma le cicatrici in forza. Ogni ferita diventa per lei un segno di rinascita. Non si vergogna più del dolore che ha vissuto, perché proprio lì nasce il suo coraggio. In loro troviamo la capacità di non arrendersi, senza mai ostentare.E poi c’è una domanda che mi porto dentro: Chi saremmo, se ci venisse tolto tutto ciò che ha definito chi siamo?
Se un giorno perdessimo i nostri punti di riferimento, le persone che amiamo, le abitudini che ci fanno sentire al sicuro… riusciremo ancora a riconoscerci? In quei momenti serve una forza immensa. Il pericolo più grande non è solo cadere, ma dimenticare chi siamo davvero. Amal e la sua famiglia lottano per non lasciarsi cambiare dall’odio. Alcuni non ce la fanno, ma molti scelgono comunque l’amore. E questo è il messaggio più forte del libro: scegliere l’amore, anche quando tutto spinge verso la vendetta.
“Ogni mattina a Jenin” non è solo un romanzo: è un invito a immedesimarsi in realtà lontane, a ricordare che dietro ogni guerra ci sono esseri umani. E che forse, se imparassimo ad ascoltare di più storie come quella di Amal, il mondo sarebbe un po’ più giusto.
2° Premio: a Camilla Usai
Secondo premio per la recensione dal titolo “Memorie del sottosuolo” tratta dall’omonimo romanzo di Fëdor Dostoevskij. La giuria ha apprezzato il fatto che la concorrente approfondisca i temi suggeriti dal romanzo, in rapporto a temi contemporanei e riferiti alla condizione giovanile odierna.
Memorie del sottosuolo
Contrariamente alle opere giovanili, e in particolar modo a Notti bianche in cui il protagonista è un giovane ed inguaribile sognatore, Memorie del sottosuolo di Dostoevskij è un libro dai tratti profondamente malinconici, da cui emerge il ritratto di una solitudine alienante. Questa solitudine non è quella comunemente riconosciuta: è pervasiva, intima, primitiva, e pertanto indipendente dall’effettiva assenza di qualcuno al proprio fianco; si tratta di un modo di stare al mondo, di percepire la propria esistenza, che affonda le radici in antiche sofferenze e che, dunque, costituisce l’essenza stessa di alcune vite.
Perché leggerlo, dunque? Perché questo sentimento, in una società tanto individualista come quella odierna, è ben più diffuso di quanto si pensi, ed in misura sempre maggiore fra i giovani. Memorie è segnata dal tratto distintivo dell’autore, che trova spazio nella rappresentazione della sofferenza quale fardello a cui nessun suo personaggio poté sottrarsi. Il protagonista è un uomo senza nome, triste e solo; egli è “l’uomo del sottosuolo” la cui povertà d’aspetto non sembra però rispecchiare la ricchezza che egli sente di possedere dentro di sé: una forza primitiva elevatissima, un amore romantico per la letteratura, un’intelligenza sopraffina: energie che, disgraziatamente, non hanno sfogo nell’esperienza di vita e che pertanto devono rimanere celate in un cuore freddo e solo.
Tuttavia, un cuore del genere, tanto triste e sofferente (e forse proprio a causa di tanta sofferenza), è capace di aspre vendette: Memorie è la storia di un uomo corrotto da una vita di solitudine e povertà sociale, che rende anche il più nobile dei cuori incapace di amare; l’odio convive col senso di colpa senza soluzione di continuità, quale prezzo da pagare per un cuore tanto fragile quanto meschino e crudele. Si tratta dunque di una lotta intestina tra vendetta e compassione che sfocia, infine, in quel senso di vergogna nel riconoscersi mediocri come chiunque altro.
Memorie del sottosuolo è un libro del disincanto: non esplora il mondo delle possibilità; ne offre, piuttosto, una visione realistica e malinconica. È una lettura fulminea, accattivante, controversa, priva di false illusioni e, per questo, vera, viva, tanto da rendere un’opera classica della letteratura russa, ambientata nella San Pietroburgo di metà Ottocento, del tutto attuale: una vera perla in un mare di specchi per le allodole, perfettamente preparati e confezionati per il pubblico.
Insomma, Memorie del sottosuolo di Dostoevskij è, un’ottima lettura per persone affamate di storie reali e controverse; storie che permettono di osservare da vicino la sofferenza per poterla comprendere.
3° Premio: a Nicola Capone
Terzo premio per la recensione dal titolo “Hunger games” tratta dall’omonimo romanzo di Suzanne Collins. Da parte del concorrente traspare una lettura appassionata di una delle serie distopiche di maggior successo negli ultimi anni, particolarmente seguite da un pubblico giovanile.
Hunger games
“Come deve essere vivere in un mondo in cui i pasti compaiono premendo un pulsante? Come passerei le ore che di solito dedico a setacciare i boschi, se il cibo fosse così facile da trovare? Cosa fanno tutto il giorno questi abitanti di Capitol City, a parte adornare i propri corpi e andarsene in giro aspettando che un nuovo carico di tributi arrivi a morire per il loro spasso?”. Con questa citazione, presa direttamente dallo stesso romanzo, si può riassumere in parte il contenuto e i temi trattati da quest’ultimo. Ci troviamo infatti in un futuro post-apocalittico, dove per qualche ragione ignota (ma non difficile da intuire), i territori oggi appartenenti agli Stati Uniti e al Canada si ritrovano uniti nell’unica nazione di Panem, controllata direttamente dalla ricca Capitol City. Lo Stato è a sua volta diviso in 12 distretti, ognuno dei quali specializzato nella produzione di qualcosa, e in cui aumenta la povertà passando dall’uno all’altro in ordine di numero crescente. Ogni anno però, come punizione per la rivolta dei distretti avvenuta 74 anni prima, Capitol City obbliga i distretti a scegliere 2 ragazzi, un maschio e una femmina, tra i 12 e 18 anni, in modo da farli partecipare agli Hunger Games, un programma televisivo venerato come una vera e propria religione dagli abitanti della capitale, in cui i partecipanti dovranno nel vero senso della parola uccidersi a vicenda, fino a che non ne rimanga solo 1, il vincitore. Si tratta di un libro scorrevole e incalzante, che con uno stile semplice e adatto a tutti, e un target di riferimento dedicato principalmente alla fascia adolescenti e giovani adulti, parla in maniera interessante di una realtà colma di parallelismi con la nostra. Una realtà in cui l’apparenza conta ormai più della verità, in cui in un niente si passa da chi spende migliaia di euro per l’ultimo modello di smartphone, a chi non può permettersi un pezzo di pane, in cui i molti sono sotto il controllo dei pochi, ricchi e poco interessati alla questione, in un contesto in cui questo stesso divario economico aumenta ogni giorno di più. Ho scelto questo libro perché oltre allo stile e alla trama in sé, è soprattutto attuale, e tratta in maniera esagerata argomenti molto vicini alla realtà che stiamo vivendo. Non si limita a raccontare una semplice vicenda, ma riesce a farci pensare, quasi ad avvertirci, su ciò che potrebbe accadere se certi aspetti della nostra società continuassero a svilupparsi in una certa direzione. È come uno specchio del presente che ci mostra anche un possibile domani, rendendoci più consapevoli e invitandoci a riflettere su temi importanti per il nostro futuro. Ci lascia inoltre un altro significato importante: basta poco a cambiare questa situazione, anche un gesto involontario o la sola forza di volontà, ma soprattutto la solidarietà. Vorrei concludere con un’altra citazione, posta proprio a indicare come anche un semplice gesto d’amore, possa far scoppiare una scintilla, volta poi a esplodere e trasformarsi in una fiamma.
“Qualcosa è cambiato, dopo che mi sono fatta avanti per prendere il posto di Prim, e adesso sembra che io sia diventata una persona cara. Prima uno, poi un altro, poi quasi tutti i componenti del pubblico portano le tre dita di mezzo della mano sinistra alle labbra e le tendono verso di me. È un antico gesto del nostro distretto, un gesto che si usa di rado e si vede qualche volta ai funerali. Significa grazie, significa ammirazione, significa dire addio a una persona a cui vuoi bene.”
Menzione e attestato di partecipazione: a Sara Sedda

