28 Marzo 2024
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Viola Ardone:  “Il treno dei bambini ”, Einaudi 2019

“Mia mamma avanti e io appresso. Per dentro ai vicoli dei Quartieri spagnoli mia mamma cammina veloce: ogni passo suo, due miei. Guardo le scarpe della gente. Scarpa sana: un punto; scarpa bucata: perdo un punto. Senza scarpe: zero punti. Scarpe nuove: stella premio. Io scarpe mie non ne ho avute mai, porto quelle degli altri e mi fanno sempre male. Hanno la forma dei piedi che le hanno usate prima di me. Hanno pigliato le abitudini loro, hanno fatto altre strade, altri giochi.”

È l’incipit del libro di Viola Ardone, apprezzatissimo alla Fiera del libro di Francoforte del 2019, in via di traduzione in diverse lingue del mondo. E subito mi vengono in mente le frasi di Mordo Nahum, il saggio compagno greco di Primo Levi ne “La tregua”, il libro memoria del ritorno da Auschwitz: “Quando c’è la guerra, a due cose bisogna pensare prima di tutto: in primo luogo alle scarpe, in secondo alla roba da mangiare; e non viceversa, come ritiene il volgo: perché chi ha le scarpe può andare in giro a trovar da mangiare, mentre non vale l’inverso”.

Siamo nella Napoli del 1946, la guerra è appena finita. Nella città ferita e martoriata, ha subito circa 200 raid aerei dal 1943 al 1945, la fame e la povertà imperano, i bambini, dai 4 ai 12 anni, poveri e più di qualcuno orfano,  vagano per i quartieri popolari in cerca di cibo e provano a ricavarsi spazi di infanzia anche in condizione estreme.

Il romanzo ha come protagonista un bambino di otto anni, Amerigo Speranza, che come voce narrante racconta, con il linguaggio e cadenza tipici del dialetto napoletano, dei sentimenti, curiosità, dubbi e paure propri della sua età, di una vicenda, sconosciuta ai più, realmente accaduta nella Napoli del dopoguerra, dal 1946 al 1954.

Da un’idea del Partito Comunista Italiano, e di quello campano in particolare, con il sostegno dell’UDI, appena costituitasi, venne a crearsi, in quegli anni terribili, il “Comitato per la salvezza dei bambini di Napoli”: circa dodicimila di essi, vennero vestiti, nutriti, e temporaneamente ospitati, e mandati a scuola, da famiglie contadine del Nord Italia,  soprattutto delle campagne di Modena, Reggio e Bologna. L’intervento di solidarietà sociale, che negli anni si allargò ad altre regioni del Sud e del Centro Italia, coinvolse oltre 70.000 bambini.

Nella finzione letteraria Amerigo è uno di questi.  “Mia mamma Antonietta aspetta che questa Maddalena finisce di parlare, perché le chiacchiere non sono arte sua. Quella dice che ai bambini bisogna dargli un’opportunità”. Sono i pensieri di Amerigo quando Maddalena, una di quelle militanti che organizzarono quelli che vennero chiamati “Treni della felicità” cerca di spiegare il senso di quella iniziativa: ”Ai bambini bisogna dargli un’opportunità”, affermazione quanto mai opportuna, allora come oggi. Fu un esempio di come il Nord e il Sud potessero incontrarsi e conoscersi, superando ignoranza e pregiudizi.

Fanno sorridere i dialoghi tra i bambini nel treno che li porterà nel Nord. Uno di loro “con i capelli gialli e tre denti mancanti in bocca” ad un certo punto dice “Ma voi lo sapete che in Russia i bambini se li mangiano a colazione?”, e Amerigo “Allora a te ti rimandano indietro, tieni più ossa che pelle..,E poi, chi ve l’ha detto che dobbiamo andare in Russia? Io ho sentito dire al settentrione” (pag 43). Ancora Amerigo all’arrivo in una stazione del Nord laddove i bambini saranno adottati da qualche famiglia emiliana “Quelli dell’Alta Italia sono lunghi e larghi più di noi e hanno le facce bianche e rosa, io penso perché si sono mangiati troppo prosciutto con le macchie…(pag.61)

Fu una straordinaria epopea di solidarietà. Non mancarono certo le critiche malevoli da parte democristiana, di una certa destra, cattolica e non: “speculazione comunista”, “operazione politica”, qualche becera affermazione “perché i bambini non li portano in Russia?…” Per i bambini non fu una gita o una passeggiata.  Amerigo  personifica quello che possono aver provato: il distacco dal proprio ambiente e dai propri affetti, lo stupore per il nuovo, il dover ricominciare, l’essere divisi fra due dimensioni, l’arricchimento per le nuove esperienze, il trasmetterle al ritorno, gli affetti  che durano una vita.

L’interesse che il libro ha suscitato è dovuto all’universalità della storia: quella di un bambino, come ce ne sono tanti nel mondo dove oggi, come nel passato,  i bambini sono vittime delle guerre e dei soprusi.

Recensione a cura di Tonino Sitzia

 

 

 

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5 Commenti

  1. Nel 1861 si formò l’Italia, ma ancora oggi discutiamo dell’unità che non c’è mai stata. Si continua a parlare del nord ricco e del sud povero come un fatto assodato.
    La povertà del sud è stata ben descritta da Carlo Levi in “Cristo si è fermato a Eboli”. I bambini e i quartieri di Napoli vengono raccontati magistralmente nell’ “Amica Geniale” della Ferrante o in film come Napoli Milionaria di Eduardo De Filippo o in Paisà di Roberto Rossellini. In queste testimonianze vengono raccontate le vicende di bambini che vivono nell’indigenza, a cui mancano cure di ogni genere: mediche, familiari, istituzionali, scolastiche.
    Quello che successe nel dopoguerra nella sua tragicità rappresenta una dei pochi esempi in cui l’Italia si è comportata come una nazione unita. Non vi è traccia alcuna di pregiudizio verso il Sud o di due diverse “Italie” che non riescono a parlarsi: piuttosto, a emergere è pricipalmente l’altruismo e la solidarietà. Nel libro della Viola Ardone, che non ho ancora letto, per come è costruito, un bambino che guarda il mondo con i suoi occhi innocenti e racconta gli avvenimenti, è sicuramente molto coinvolgente.

  2. E’ commovente la storia dei 70000 bambini strappati alla fame e alla miseria. L’Italia stremata, impoverita e distrutta dalla seconda guerra mondiale ma con un grande desiderio di rinascita e di futuro, seppe unire il Nord al Sud attraverso i “treni della felicità”.
    Ho visto una foto dell’epoca nella quale donne e bambini sfilavano con uno striscione sul quale c’era scritto: ” Siamo i bambini del Mezzogiorno. La solidarietà e l’amore degli Emiliani dimostra che non esiste Nord e Sud, esiste l’Italia”.
    E’ una storia così bella da non sembrare vera.

  3. Il moto della solidarietà ha – quando più quando meno – percorso la storia del nostro Paese. E ancora oggi è così a porre rimedio nelle emergenze. E meno male, nonostante i segni inquietanti di incarognimento che striano la società italiana.
    Per restare al “Treno dei bambini”, la vera questione, il problema nevralgico era Napoli, la più grande metropoli del mezzogiorno d’Italia e importante città europea. Certo si svoltava da una guerra terribile, dalle sue devastazioni materiali e ‘morali’, tuttavia la questione dei 70000 bambini, cifra impressionante, allontanati dal Bronx napoletano, cosa giusta e buona, andava affrontata e risolta a Napoli. E la questione Napoli andava vista, ed era, questione nazionale (non roba da napoletani). Lasciamo stare le polemiche della DC di allora, vecchio vizio, tuttora in corso, della ‘politica’ di far polemiche ciascuno pro domo sua.
    Il ricorso al volontariato è il segno di una assenza, di una incapacità strutturale dello stato italiano. Basti pensare alle grandi campagne televisive per il sostegno della ricerca, ciò a fronte di una evasione fiscale enorme e vergognosa e di insufficienti fondi stanziati nel bilancio statale…

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